mercoledì 21 ottobre 2015

Catone il Censore


Vita
Marco Porcio Catone detto il Vecchio o il Censore per distinguerlo dal pronipote chiamato l'Uticense, nacque nel 234 a. C. a Tusculum (odierna Frascati) da una famiglia plebea di agricoltori ma anche di soldati. Originariamente il suo cognomen era Priscus ma venne cambiato in Cato "accorto" a causa della sua sapienza. Dopo la morte del padre amministrò una tenuta in Sabina e si dedicò all'agricoltura, qui visse in prossimità dell'abitazione di Manio Currio Dentato, eroe delle guerre sannitiche, contro i sabini e contro Pirro, conosciuto per la sua austerità, al quale forse il giovane Catone s'ispirò per i suoi valori. Grazie alla sua integrità ben presto fu chiamato a dirimere le cause nel circondario.
Militò nella seconda guerra punica ancora molto giovane contro Annibale e Astrubale e nel 214 divenne tribuno militare. Attirò su di sé l'attenzione di un suo nobile vicino, Lucio Valerio Flacco, un esponente dell'aristocrazia conservatrice avversa al partito degli Scipioni, sotto la cui ala Catone percorse tutti i gradi del cursus honorum. Nel 204 divenne questore in Africa e collaboratore di Scipione l'Africano col quale ebbe alcuni dissensi a causa della liberalità di quest'ultimo nelle spese; nel 198 ebbe l'incarico di pretore in Sardegna dalla quale portò il futuro poeta Ennio a Roma, che però entrò a far parte del circolo degli Scipioni.
Nel 195, console insieme a Valerio Flacco, fu il più acceso sostenitore della lex Oppia: questa legge, emanata durante la seconda guerra punica, proibiva alle donne di possedere più di una certa quantità d'oro, di vestire abiti dai colori vivaci e di usare la carrozza se non per feste religiose; si trattava di un mezzo per limitare la spesa pubblica in un tempo di crisi, ma terminate le ostilità coi cartaginesi fu proposta l'abrogazione. Ovviamente, Catone si pronunciò contrario insieme ad alcuni tribuni della plebe; in quell'occasione le donne romane scesero nelle strate rivendicando i propri diritti, tanto che alla fine la legge venne eliminata.
Come proconsole operò in Spagna sempre con la solita fermezza, ed anzi secondo il racconto che Livio ci fa della sua campagna, senza pietà e risparmio di massacri.
 Nel 191 partecipò alla guerra contro Antioco III di Siria per il dominio della Grecia e contribuì grandemente alla vittoria romana durante la battaglia decisiva delle Termopili.
Nel 186 appoggiò il senatoconsulto che proibì la celebrazione dei Baccanali, le feste misteriche in onore di Dioniso.
Nel 184 dopo un primo tentativo non riuscito, divenne censore, carica con la quale viene solitamente ricordato, anche a causa della sua severità sul giudizio della morale pubblica, ed anche per questo è ricordato come un esempio di rispetto del mos maiorum, gli usi e i costumi tradizionali romani in tutta la loro integrità e durezza. Fu un aspro critico di qualsiasi minima deviazione dalle consuetudini e dall'antica compostezza, arrivando a condannare moglie e marito perché s'erano scambiati un bacio in pubblico.
Dopo quella di censore non assunse altre cariche ma non si ritirò mai dalla vita pubblica, ed anzi fu uno dei più convinti sostenitori della terza guerra punica, anche in seguito ad un suo viaggio in Africa nel 157, durante il quale vide come la città di Annibale si fosse largamente ripresa dai conflitti precedenti. Rimarrà celebre un suo detto a riguardo: Cartago delenda est "Cartagine dev'essere distrutta".
Nel 155 spinse per far allontanare da Roma un'ambasceria proveniente da Atene composta da alcuni filosofi, poiché riteneva la filosofia greca e la cultura ellenizzante del periodo non consona ai cittadini romani, linea già perseguita negli anni precedenti e che aveva portato all'espulsione dei filosofi epicurei nel 173 e di tutti i filosofi nel 161.
Partecipò a molti processi sia come accusatore che come accusato con rappresentanti del partito scipionico del quale fu sempre un acerrimo fustigatore. Forse anche per questo Scipione l'Africano si ritirò da Roma in tarda età, ma una sorta di pace venne sancita con il matrimonio fra il figlio di Catone, Marco Porcio Catone e la sorella di Cornelio Scipione Emiliano, nuovo capo della fazione dopo la morte dell'Africano.
Morì nel 149 a. C. all'inizio della terza guerra punica condotta dal genero che portò effettivamente alla distruzione di Cartagine.
Plutarco ce lo descrive come un uomo con gli occhi grigi, i capelli rossi ed un fisico prestante a causa del duro lavoro agricolo e militare.
Ebbe due mogli, la prima gli diede il figlio Marco Porcio Catone Liciniano morto durante la vita del padre, la seconda, sposata già ottantenne, ebbe Marco Porcio Catone Salonio.

L'opera
Nell'antichità circolavano molti dei suoi discorsi pronunciati in svariate occasioni ma a noi sono arrivati solo dei frammenti. I Libri ad Marcum filium, una sorta di piccola enciclopedia ad uso del figlio, anch'essi frammentari, parlavano anche di medicina e agricoltura. Il Carmen de moribus, dipinge le virtù tradizionali che un ideale aristocratico dovrebbe avere.
Però le due opere per cui è più conosciuto sono le Origines, il primo trattato storiografico in latino, e il De agri cultura, la prima opera in prosa giuntaci intera della latinità. Dopo la sua morte circolava anche una raccolta di Dicta Catoni, detti e proverbi attribuiti al censore che contribuirono a farne un personaggio emblematico della sua epoca.

Il De agri cultura o De re rustica "Riguardo all'agricoltura", l'opera che in questa sede più ci interessa è composto di 162 capitoli di lunghezza diseguale, è diretto a piccoli e medi proprietari terrieri per dar loro indicazioni su come dirigere al meglio la villa e farla fruttare. Tratta di come organizzare la villa, dove piantare le cose e come e dove riporre gli attrezzi per i vari usi; come preparare e riporre gli attrezzi per la vendemmia e la raccolta delle olive e come condurle; come gestire gli alberi da frutto e i pascoli, il bestiame e gli schiavi e come curarli. Rientrano nel testo anche alcune ricette di cibi rustici, la descrizione di alcuni riti religiosi, ad esempio quello del capitolo 142 per la purificazione di un campo. Ci sono poi alcuni capitoli dedicato alla medicina con piante e cibi della campagna come ai capitoli 127-8 e 159-161. Nei capitoli si può trovare un157-8 un vero e proprio elogio del cavolo, sia come cibo che come medicina per i più svariati malesseri.

Tradizione manoscritta
Spesso il De agri cultura venne trascritto insieme ad altre opere latine d'identico argomento, principalmente il De re rustica di Varrone, il De agri cultura di Columella e l'Opus agriculturae di Palladio.
Non si riesce a risalire molto in dietro nella tradizione di quest'opera; l'editio princeps (la prima edizione a stampa) del 1472, stampata a Venezia e basata su un manoscritto del XV sec., venne confrontata con il così detto codex Marcianus allora conservato alla Biblioteca di San Marco di Venezia ed oggi perduto, da Angelo Poliziano che annotò a margine le varianti. Grazie a queste note i filologi hanno dedotto che quasi tutti i manoscritti oggi conservati derivano dal codex Marcianus perduto.
 Il Parisinus 6842A (conservato alla Biblioteca Nazionale Francese di Parigi) del XII-XII sec; è il testimone più antico e contiene sia il trattato di Catone che quello di Varrone.
Il Mediceus-Laurentianus 30, 10 (conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) del XIV secolo contiene oltre alle opere di Catone e Varrone anche quella sull'architettura di Vitruvio.
Il Caesenas Malatestianus 24, 2 (conservato alla Biblioteca Malatestiana di Cesena) del XV sec. oltre a Catone e Varrone riporta anche l'opera agricola di Columella.
Le maggiori edizioni critiche sono quella ad opera di Heinrich Keil del 1884-94 e quella da essa derivata ad opera di George Goetz del 1922.

Riflessioni
Il libro sull'agricoltura di Catone era dedicato a piccoli e medi proprietari terrieri che passavano nella villa solo una parte del loro tempo; la maggior parte dei lavori erano delegati al fattore. C'è quindi sottesa all'opera una certa tendenza a guardare al profitto economico, e nessun accenno alla suggestione della bellezza naturale. Si parla non di una produzione per autosufficienza ma di una vera e propria impresa agricola.
C'è però la convinzione che l'agricoltura contribuisca a mantenere una certa dirittura morale, forza fisica ed in generale tutta quella serie di virtù di austerità e frugalità tipiche della mentalità romana arcaica.
Parlando di medicina, è indimenticabile l'idea di Catone, riportata da Plinio di un complotto ordito dai medici greci per uccidere i romani, facendosi anche pagare per questo; insomma che il complottismo ha radici più antiche di quanto si creda.
Il nostro Catone dunque deve essere stato un personaggio davvero monolitico e intransigente: ce l'aveva con le donne, coi filosofi, coi medici greci, con i simpatizzanti della cultura greca, coi greci in generale, con chi ostentava ricchezza, con gli Scipioni, con Cartagine, con i Baccanali...insomma una personcina amabile! Tuttavia, al di là della personalità dell'autore, nel suo trattato si trovano utili ed interessanti indicazioni agricole anche per noi moderni, corredate da indicazioni precise di misure, pesi, quantità.


Immagini
Immagine 1: Catone in una stampa.
Immagine 2: pagine del manoscritto Mediceus-Laurentianus 30, 10

Utilità
Qui brevi note filologiche sulla tradizione manoscritta del De agri cultura.
Qui il testo latino del De agri cultura dell'edizione di F. Speranza del 1974.
Qui il testo latino del De agri cultura dell'edizione di G. Goetz del 1922 e traduzione in inglese di W. D. Hooper e H. B. Ash della stessa edizione.
Qui testo latino e traduzione in italiano del De agri cultura dell'edizione di Giovanni Berengo del 1846.
Qui testo in latino e traduzione in francese del De agri cultura dall'edizione di M. Ninsard del 1877.

Fonti antiche
Cicerone, De senectute
Cornelio Nepote, De viris illustribus, Catone
Plino, Storia naturale, XXIX, 8
Plutarco, Vite parallele, Catone
Tito Livio, Ad urbe condita, XXXIV;  XXXIX, 40, 44

Fonti moderne
Il bosco sacro, M. Bettini, La Nuova Italia, 2004
Storia letteraria di Roma, P. Fedeli, Fratelli Ferraro Editori, 2004
Wikipedia.en - Cato the Elder

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Columella
Dioscoride
Plinio il Vecchio

lunedì 19 ottobre 2015

Plinio il Vecchio

 
Vita
Gaio Plinio Secondo viene comunemente chiamato Plino il Vecchio, per distinguerlo da Plinio il Giovane, figlio di Plinia, sorella del Vecchio, e da lui adottato. Al nipote dobbiamo la maggior parte delle informazioni sulla vita e la personalità del nostro autore.
Nacque da una famiglia di ceto equestre nell'allora Gallia Transpadana a Novum Comum (oggi Como, ma secondo altri a Verona) nel 23 o 24 d. C., secondo una fonte tarda i suoi genitori sarebbero stati Gaio Plinio Celere e Marcella. Studiò a Roma dal 35 d. C. presso il retore Pomponio Secondo e più tardi esercitò la professione di avvocato. Combatté nella cavalleria in Germania sotto il comando dello stesso Pomponio secondo; un giorno deve aver perso un finimento del cavallo recante il suo nome che è stato ritrovato dagli archeologi. Probabilmente fu durante questi anni che conobbe il futuro imperatore Tito. Tornò stabilmente in patria intorno al 59; durante il principato di Nerone si tenne lontano dalla corte, forse per una sua certa opposizione al princeps e si dedicò allo studio e alla scrittura. Nel 62 nacque il nipote Plinio il Giovane, che nel 70 andò a vivere insieme alla madre presso lo zio, essendo il padre deceduto. Dopo la conquista del potere da parte di Vespasiano, padre di Tito, Plinio ebbe una brillante carriera che lo portò ad essere prefetto provinciale in Gallia Narbonense (70) e in Spagna (73), ma ebbe anche incarichi nella Gallia Belgica e in Africa e tornato a Roma nel 75/76 continuò a collaborare strettamente con l'imperatore, Plinio il Giovane ricorda che i due s'incontravano ogni giorno ancor prima dell'alba. Nel 77, probabilmente, venne pubblicata la sua opera principale, la Naturalis Historia.
Morì a Stabbia nel 79 d. C., pochi mesi dopo Vespasiano, durante l'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano: si trovava sul posto come comandante della flotta di stanza in Campania per portare aiuto alle popolazioni colpite e ad alcuni amici, e gli fu fatale, come racconta il nipote, la curiosità che lo fece avvicinare troppo per vedere da vicino il fenomeno vulcanico.
Sempre dalle parole di Plino il Giovane, si evince l'amore per lo studio e la conoscenza di Plinio il Vecchio, che dedicava tutto il tempo possibile alla sua erudizione: "Prima dell'alba andava dall'imperatore Vespasiano: infatti anche quello approfittava della notte; poi al compito affidatogli. Ritornato a casa, quel tempo che restava lo dedicava agli studi. Spesso dopo lo spuntino...d'estate, se c'era un po' di tempo libero, stava sdraiato al sole; veniva letto un libro; egli faceva delle osservazioni e individuava brani da citare. Era anche solito dire che nessun libro è così cattivo da non giovare per qualche aspetto. "  E più oltre: "Infatti riteneva che fosse perduto tutto il tempo che non veniva dedicato agli studi. Con questo ritmo di lavoro portò a termine questi rotoli così numerosi, e a me lasciò centosessanta rotoli di appunti di passi scelti..."(1)
Una statua rappresentante Plinio il Vecchio è presente sul Duomo di Como, sua città d'origine.

L'opera
Risultano perduti il De iaculatione equestri su come scagliare il giavellotto a cavallo, scritto durante le campagne in Germania e probabilmente ispirato alla tecnica usata dalle popolazioni locali; la sua biografia di Pomponio Secondo; i Bella Germaniae che narrano dei conflitti fra Germani e Romani (sembra che durante la sua permanenza in Germania l'autore avesse sognato il principe Druso, padre dell'imperatore Claudio morto durante gli scontri coi Germani, e che questi gli avesse chiesto di tramandare la sua memoria), fonte principale per quegli anni degli Annali di Tacito e della Germania ; l'A fine Aufidii Bassi opera di storia contemporanea che si poneva come continuazione di quella di Aufidio Basso; lo Studiosus riguardante la retorica e il Dubis sermo su morfologia e ortografia, entrambi scritti durante il principato di Nerone. Buona parte di questi testi risultavano già pressoché introvabili nel IV sec. oscurati dall'opera retorica di Quintiliano e da quella storica di Tacito.

L'unica opera conservatasi, che è poi quella che gli è valsa la sua fama (ed indubitabilmente il nostro ringraziamento per la mole di informazioni tramandateci), è la Naturalis Historia "storia naturale" o meglio "indagine sulla natura", un'opera enciclopedica in 37 libri dedicata al futuro imperatore Tito, progettata probabilmente sotto Nerone e alla quale Plino lavorò fino al 77 d. C. anno della pubblicazione, ma potrebbe non essere riuscito a terminare la revisione finale del testo. In origine ogni libro era aperto dall'indice degli autori consultati, ma Plino il Giovane li riunì tutti, ed insieme al sommario andarono a costituire il libro I. Visto che si parla di più di circa cento autori, è difficile dire quali vennero tenuti in maggiore considerazione, anche se si può supporre che Varrone fosse tra questi.
I libri che in questa sede più ci interessano, e che costituiscono il cuore e la parte più estesa dell'opera, sono quelli che vanno dal XII al XIX sulla botanica e l'agricoltura e dal XX al XXXII sulla medicina, le cui fonti principali potrebbero essere Giuba II, Catone, Teofrasto e Crateva.
Gli argomenti sono così ripartiti, tenendo comunque a mente che ci sono molti excursus:
Libri XII e XIII: piante esotiche
Libro XIV: la vite, la viticoltura, il vino (tratta anche della birra)
Libro XV: l'ulivo ed altri alberi da frutto
Libro XVI: alberi e botanica
Libro XVII: altre piante utili (parla anche  di agricoltura e in particolare del grano)
Libro XVIII: come dirigere una fattoria
Libro XIX: orticultura (con particolari riferimenti al lino)
Libro XX:droghe ottenute da ortaggi e altre piante da giardino
Libro XXI e XXII: droghe ottenute da fiori ed erbe (con anche una trattazione sulle api e sui pesi e misure greche)
Libro XXIII: droghe ottenute dal vino, dalla noce, dall'olio, dai frutti
Libro XXIV: droghe ottenute dagli alberi (con un excursus sulle piante magiche)
Libro XXV: droghe ottenute dalle erbe (parla anche degli scritti greci a riguardo)
Libro XXVI: malattie e rimedi a base di erbe (parla anche di una "setta" medica detta degli Asclepiadi)
Libro XXVII: droghe ottenute da piante selvatiche
Libro XXVIII: medicine ottenute dall'uomo (parla anche di canti e invocazioni per guarire e di cosmesi) e dagli animali
Libro XXIX: medicine ottenute dagli animali (traccia anche una storia della medicina)
Libro XXX: medicine ottenute dagli animali (traccia anche una storia della magia)
Libro XXXI e XXXII: medicine tratte dal mare e dai suoi abitanti
In questi libri Plinio cita circa 900 materie curative, più di qualsiasi altro autore antico.

Tradizione manoscritta
Essendo la Naturalis Historia così ampia, si capisce perché venne ben presto compendiata e divisa in parti riguardanti i singoli argomenti, sicché la tradizione manoscritta è composta da molti testimoni che tramandano solo una parte dell'opera; tuttavia è stato possibile ricostruirla interamente, ed è tra l'altro una delle più estese opere inntegrali arrivateci della latinità. Si sono conservati circa 200 manoscritti, e fra i più antichi molti sono palinsesti (ovvero, le pagine su cui era scritta l'opera di Plinio sono state raschiate e riutilizzate come supporto scrittorio per opere posteriori, ma è stato possibile ricostruire il testo antico tramite processi chimici o luci particolari), come il St. Paul im Lavanttal cod. 3/1 detto codex Moneus (conservato alla Biblioteca dell'abazia di San Gallo) del V sec. d. C. contenente una parte dei libri XI-XV.
Al VI sec. risale un manoscritto copiato in Inghilterra, ma quello considerato più autorevole è il Class. 42 (conservato alla Biblioteca di Stato di Bamberga) dell'inizio del IX sec. che riporta i libri XXXII-XXXVII
consultabile qui.
I primi manoscriti che contengono tutto o buona parte del testo datano al IX secolo, in particolare il Lipsius 7 (conservato alla Biblioteca di Leida) che contiene tutti i libri, il Bibl. Ricc. 488 (conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze) dal I al XXXIV e il Parisinus Latinus 6795 (Biblioteca Nazionale di Francia di Parigi) dall'I al XXXII. Da quest'ultimo derivano molti testimoni successivi.
Nel III sec. d. C. Solino riassunse la parte riguardante la geografia.
Nel IV sec. d. C. i libri sulla medicina vennero compendiati in un trattato intitolato Medicina Plinii e integrati con parti tratte da Dioscoride e Celso, l'opera voleva essere un utile strumento per i viaggiatori che altrimenti sarebbero caduti nelle mani di medici avidi e incapaci. Nel V-VI secolo viene a sua volta riadattata ed integrata con altre fonti e prende il nome di Physica Plinii; nel XVI sec. la si attribuirà a un fantomatico Plinio Valeriano.
La Naturalis Historia viene citata da Isidoro di Siviglia nel VII sec come fonte per la sua estesa opera, le Etymologiae; nell'VIII sec. d. C. un manoscritto parziale viene usato da Beda il Venerabile per il suo trattato sulla natura. Dante cita Plinio nel De vulgari eloquentia come uno dei massimi prosatori della latinità (mentre da altri fu accusato di mancanza di stile nella scrittura).
Petrarca nel 1350 comprò un manoscritto della Naturalis Historia e notò come già allora il testo fosse corrotto e rimaneggiato; lo sappiamo poiché quella copia è ancora oggi conosciuta e reca le annotazioni del poeta a margine. Per tutto il medioevo il testo di Plinio sarà presente sullo sfondo di lapidari, bestiari, opere mediche, geografiche ecc.
La prima edizione a stampa risale al 1469 e fu stampata a Venezia. Nel 1506 a Roma fu ritrovato un gruppo scultoreo d'epoca romana, che venne identificato grazie alla descrizione di Plinio contenuta nella sua opera enciclopedica: si trattava del Laocoonte, l'espressiva scultura venne spostata dall'allora papa Giulio II in quelli che divennero poi i Musei Vaticani.
L'edizione critica della Naturalis Historia fu approntata nel XIX sec. da autori soprattutto tedeschi, ed il risultato è l'opera di Karl F. T. Mayhoff, a tutt'oggi considerata la più autorevole.

Riflessioni
A differenza di Dioscoride che si fa vanto d'aver sperimentato ed acquisito praticamente le conoscenze che trascrive, Plinio ammette apertamente che l'immensa mole di notizie contenute nella Naturalis Historia viene principalmente dai libri, anche se non c'è da dubitare che alcune cose le abbia apprese nel corso dei suoi viaggi. Ed egli stesso nella dedica della sua opera al futuro imperatore Tito dice: " Infatti è cortese, come penso, e pieno di onesto rispetto confessare attraverso chi avrai fatto progressi, non come fecero la maggior parte fra questi, che consultai."(2)
Se da un lato è ammirabile l'esperienza pratica di Dioscoride che vuole superare e correggere il sapere puramente "libresco", dall'altro merita un encomio anche l'onestà intellettuale di Plinio, che infatti cita chiaramente tutti gli autori consultati per ogni libro. Tale onestà e chiarezza ai nostri tempi spesso mancano essendo tralasciate le fonti da cui sono tratte le informazioni, soprattutto al tempo di internet, in cui ogni notizia viene diffusa e presa per buona senza che se ne conosca l'origine.Ed è inoltre da rilevare che Plino pur traendo il suo sapere di seconda mano, non rinuncia certo ad un certo senso critico, chiarendo e a volte contestanto alcune affermazioni delle sue fonti, e dicendo esplicitamente all'inizio del III libro, che fra i vari autori consultati seguirà quello che riterrà più veritirero.
E continua umilmente nella dedica dicendo "Non dubito che ci siano molte cose che mi sfuggono."(3)
Dunque ci troviamo sicuramente davanti ad un'opera di diletto ma che anche vuole giovare ai suoi lettori come l'autore stesso scrive: "Perché leggi queste cose imperatore? Furono scritte per l'umile volgo, i contadini, la schiera degli artigiani, ed in ultimo per gli studiosi."(4) Possiamo dire che Plinio riuscì pienamente nel suo intento, raccogliendo e tramandando conoscenze che verranno lette per secoli, e che ancora oggi sono una miniera di informazioni riguardo ai più disparati campi dell'antichità e del sapere umano.
Italo Calvino nel suo saggio sulla Naturalis Historia scrive: "Potremmo distinguere un Plinio poeta e filosofo, con un sentimento dell’universo, un suo pathos della conoscenza e del mistero, e un Plinio nevrotico collezionista di dati, compilatore ossessivo, che sembra preoccuato solo di non sprecare nessuna annotazione del suo mastodontico schedario."(5) Ed in effetti è proprio così, leggendo le pagine di quest'opera immensa non si può non essere colpiti dall'amore per la conoscenza del nostro autore, e contemporaneamente si ha l'impressione che egli voglia riunire e sistematizzare qualsiasi cosa scritta sui vari argomenti, ancorché curiosa o improbabile.
Infine, vorrei chiudere riportanto quello che per Plino era l'argomento dei suoi libri: "...la natura delle cose, che è la vita..."(6).


Note
(1) Epistolae, III, 5.
(2) Naturalis Historia, I, 21.
(3) Naturalis Historia, I, 18.
(4) Naturalis Historia, I, 6.
(5) Il cielo, l'uomo, l'elefante in Perché leggere i classici, pag. 43.
(6) Naturalis Historia, I, 13.

Immagini
Immagine 1: rappresentazione di Plino il Vecchio da un testo di Cesare Cantù del 1859.
Immagine 2: la statua rappresentante Plino il vecchio sul Duomo di Como.
Immagine 3: frontespizio della Naturalis Historia di un'edizione a stampa del 1669.

Utilità
Qui tutte le fonti letterarie che parlano della vita di Plinio (sito inglese testo latino)
Qui l'intero testo latino della Naturalis Historia  (testo in latino)
Qui la traduzione inglese della Naturalis Historia dell'autore e testo latino di K. F. T. Mayhoff (testo in latino e inglese sito in inglese)
Qui la traduzione inglese della Naturalis Historia di H. T. Riley del 1955 e testo latino di K. F. T. Mayhoff (testo in latino e inglese sito in inglese)
Qui la traduzione in inglese della Naturalis Historia del 1949-1954 di H. Rackham, W.H.S. Jones e D.E. Eichholz (testo e sito in inglese)
Qui  e qui si può leggere il saggio di Italo Calvino riguardante la Naturalis Historia, Il cielo, l'uomo, l'elefante (pagg. 42-54) contentuto in Perché leggere i Classici (ho segnalato entrabe le edizioni poiché alla prima mancano parti presenti nella seconda, quindi alla fine saltando un po' dall'una all'altra si potrà consultare il testo completo)

Fonti antiche
De viribus illustribus, Svetonio (breve vita di Plinio)
Epistolae, Plinio il Giovane, VI, 16 (sulla morte), e III, 5 (su opere e studio)
Naturalis Historia, Plinio il Vecchio

Fonti moderne
Il bosco sacro, M. Bettini, La Nuova Italia, 2004
Perché leggere i Classici, I. Calvino, Mondadori, 1995
Storia letteraria di Roma, P. Fedeli, Fratelli Ferraro Editori, 2004
Livius.org - Natural History
Livius.org - Pliny the Elder
The manuscripts of Pliny the Elder's "Natural History"
Wikipedia.en - Medicina Plinii
Wikipedia.en - Natural History
Wikipedia.en - Pliny the Elder

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Catone
Columella 
Dioscoride
Storia dell'Achillea
Storia della Calendula
Storia della Violetta

lunedì 5 ottobre 2015

Il diario di campagna di una signora inglese del primo Novecento e Appunti sulla natura di una signora inglese del primo Novecento

Il diario di campagna di una signora inglese del primo Novecento di Edith Holden, Mondadori, 1979
Numero pagine: 186
Lingua originale: inglese
Titolo originale: The Country Diary of an Edwardian Lady
Prima edizione: 1977
Prima edizione italiana: 1979
Genere: libro illustrato

Appunti sulla natura di una signora inglese del primo Novecento di Edith Holden, Mondadori, 1989
Numero pagine: 197
Lingua originale: inglese
Titolo originale: The Nature Notes of an Edwardian Lady
Prima edizione: 1989
Prima edizione italiana: 1989
Genere: libro illustrato

Ho desiderato Il diario di campagna di una signora inglese di inizio Novecento per anni dopo che mi era stato segnalato da una amica, e alla fine me lo sono fatta regalare per un compleanno; è stato uno dei migliori regali di sempre! Non solo per le bellissime illustrazioni che da sole giustificherebbero l'acquisto di uno dei libri di Edith Holden, ma anche perché ad affiancarle troviamo osservazioni naturalistiche e poesie selezionate da una grande artista inglese la cui opera è stata a lungo poco conosciuta.
Edith Blackwell Holden, quarta di sette figli, nacque il 26 Settembre 1871, a Moseley, vicino Birmingham nella contea delle West Middlands, fra i paesaggi che, sembra, ispirarono la Contea de Il Signore degli Anelli di Tolkien. Il secondo nome le fu dato in onore alla cugina Elisabeth Blackwell, la prima donna ad essersi laureata in medicina negli Stati Uniti.
La madre, Emma Wearing, ex-governante, aveva pubblicato due libri religiosi e praticava la scrittura automatica, il padre Arthur Holden, lavorava in una fabbrica di pitture; entrambi facevano parte della chiesa Unitariana e furono partecipi del movimento spiritista, per cui Edith e le sue tre sorelle, Effie, Evelyn e Violet, parteciparono a molte sedute spiritiche tenute nella casa dei genitori, soprattutto dopo la morte della madre avvenuta nel 1904, nel tentativo di contattarla. Arthur Holden pubblicò poco prima della morte una raccolta dei messaggi così ricevuti. Insieme alle sorelle e ai due fratelli Bernard e Kenneth, Edith compì i primi studi a casa, a 13 anni fu iscritta alla Scuola d'Arte di Birminghan, già frequentata dalle sorelle Evelyn e Violet, che divennero illustratrici ben più conosciute della sorella, ai loro tempi. Edith continuò i suoi studi di pittura in Scozia, specializzandosi nello studio di animali, in seguito fra il 1906 e il 1909 insegnò in una scuola d'arte per ragazze a Solihull (sempre in West Middlands); la sua più conosciuta opera, una raccolta di disegni ed appunti sulla Natura, risale a quell'epoca e voleva essere un modello da copiare per le sue studentesse. Divenuta illustratrice di professione contribuì ad animare con le sue figure vari libri per bambini, ed alcune sue opere furono esposte alla  Royal Birmingham Society of Artists e alla Royal Academy of Arts.
A testimonianza del suo spirito non convenzionale nel 1911 all'età di quarant'anni, sposò lo sculture Ernest Smith, di sette anni più giovane, contro il parere della famiglia, e andò a vivere con lui a Londra. Nello studio che egli condivideva con la Contessa Feodora Gleichen, anch'essa scultrice, i due coniugi vennero in contatto con vari celebri artisti del tempo. Non si sa praticamente nulla dei suoi anni di matrimonio, anche se si suppone che il mancato riconoscimento del suo lavoro e la distanza dalla sua amata campagna, potrebbero aver amareggiato questo periodo, inoltre in seguito alla morte del padre avvenuta nel 1913, dovette affrontare una lunga disputa coi fratelli riguardo l'eredità.
In un giorno di primavera del 1920 Edith fu trovata annegata nel Tamigi; la ricostruzione dei fatti ci dice che Edith si sporse lungo l'argine del fiume per raggiungere un ramo di Castagno fiorito, e cadde nelle acque sottostanti.
A volte la nostra Artista è stata accostata alla sua contemporanea e compatriota Beatrix Potter, anch'essa donna anticonformista e amante della Natura, illustratrice di grande talento misconosciuta per la sola ragione di essere donna.
Il diario di campagna di una signora inglese del primo Novecento, ricordato come l'opera principale della Holden non era destinato alla pubblicazione ma doveva fungere da modello per le sue allieve, raccogliendo annotazioni ed acquerelli del 1906; sarà solo nel 1977 che la sua pro-nipote, rinvenuti i suoi appunti naturalistici fra i cimeli di famiglia, li farà pubblicare in edizione facsimile col titolo The Country Diary of an Edwardian Lady.
The Nature Notes of an Edwardian Lady tradotto come Appunti sulla natura di una signora inglese di inizio Novecento (noto anche come Il secondo diario di campagna) pubblicato nel 1989, riproduce un secondo gruppo di appunti, scritti e illustrati nel 1905.
Entrambi i libri sono composti da una serie di note trascritte da Edith durante le sue passeggiate nella campagna inglese, corredate da brani poetici, proverbi, osservazioni varie e splendidi acquerelli; fu lei stessa ad ordinarli secondo i mesi. Tradotti nelle principali lingue europee, hanno avuto enorme successo e le immagini sono state usate per decorare oggetti, cartoline, agende ecc.
Benché per alcuni lettori che hanno poca dimestichezza con la botanica e l'entomologia i testi possano risultare noiosi, questi libri si possono anche solo sfogliare per godere della bellezza delle figure, magari leggendo qualche frammento di poesia qua e là. Per degli appassionati naturalisti invece risultano ancor più interessanti, Edith infatti ha annotato per ogni mese non solo proverbi e tradizioni, ma anche le piante che incontrava durante le sue passeggiate, gli avvistamenti di animali selvatici, le comparse di farfalle ed altri insetti, e le particolarità di ogni stagione. I disegni sono accuratissimi e realistici, tanto che a volte faccio il gioco di indovinare la pianta ritratta senza leggere il nome.
Non è un diario propriamente detto perché non è giornaliero e non descrive emozioni ed avvenimenti personali, inoltre durante gli ultimi anni della sua vita l'autrice sarà anche stata una signora, ma per lo più visse da nubile e, durante l'età vittoriana, in maniera assolutamente non convenzionale; sicché il titolo risulta non del tutto appropriato.
Credo sia superfluo a questo punto dire che consiglio assolutamente questi libri, poiché da ogni riga, da ogni acquerello, traspare amore per la Natura, nonché grande attenzione per i suoi cambiamenti, ma voglio chiudere questa recensione con la poesia che apre il suo secondo libro:

La Natura non ha mai tradito
il cuore che l'ha amata, e questo è il suo privilegio,
di condurci lungo tutta la nostra vita
di gioia in gioia; perché essa può talmente informare
lo spirito che è in noi; così imprimervi
serenità e bellezza; così alimentarlo di nobili
pensieri, che né le male lingue
dagli avventati giuramenti, né i sarcasmi degli egoisti,
né i saluti fatti senza amore, né tutto lo squallore
che incontriamo nella vita di ogni giorno,
tutto questo non potrà mai prevalere su di noi
né mai turbare la nostra serena fiducia, perché
tutto ciò che vediamo è pieno di gioia.



Utilità
Entrambi i libri sono fuori stampa ma si possono trovare delle copie sia nei mercatini dell'usato sia in rete. Oltre alle edizioni originali si trova una ristampa del 2001. Molte biblioteche hanno almeno uno dei due.
Nel 1984 venne realizzata una serie televisiva (mai tradotta in italiano) sulla vita di Edith Holden intitolata The Country Diary of an Edwardian Lady, con Pippa Guard nel ruolo della protagonista e James Coombes nel ruolo del marito.
Nel 2018 è uscita la prima biografia in italiano: Una Lady nella campagna inglese. Vita e opere di Edith Holden di Sara Staffolani, flower-ed, 2018.
Salvo la foto iniziale tutte le immagini sono tratte dai libri di Edith Holden.
Le informazioni biografiche sono tratte da:
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Vedi anche:
Illustrazioni botaniche di Rose (parte II) 
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Pietro Andrea Matthioli


Vita
Nato a Siena nel 1501 da padre medico, visse la sua fanciullezza a Venezia e studiò a Padova materie umanistiche, ma si laureò in medicina nel 1523. Proseguì gli studi a Perugia e Roma e in seguito si trasferì a Trento dove divenne medico del vescovo-principe Bernardo Cles, ma anche botanico del suo vasto giardino. Il suo primo libro, sulla sifilide, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum risale al 1533 e a questo periodo data anche l'inizio del suo lavoro su Dioscoride. Visse anche a Napoli al seguito del vescovo,  e poi a Cles in Val di Non e a Gorizia dove esercitò la professione di medico. Nel 1544 pubblicò a Venezia la prima edizione della sua opera principale Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, comunemente detta I discorsi di Matthioli su Dioscoride. I Discorsi, sia nella loro veste italiana che in quella latina, ebbero enorme successo e vennero ristampati e tradotti in varie lingue fra cui francese, ceco, tedesco.
 Nel 1555 grazie al successo della sua opera, Matthioli venne chiamato a Praga da Ferdinando I d'Asburgo come medico del suo secondogenito. Negli anni trascorsi alla corte imperiale lavorò ad altre opere mediche e botaniche, e affrontò gli scontri a colpi di critiche pubblicate dal medico di papa Giulio III, Amato Lusitano, e del botanico prussiano Melchior Giulandino che gli contestava l'identificazione di alcune piante citate nell'antichità.
Nel 1571 si ritirò a vita privata a Innsbruck e Trento dove morì di peste nel 1578.
Durante la sua vita fu in contatto con Erasmo da Rotterdam e molti altri intellettuali del suo tempo, ed approfondì con passione anche lo studio della cartografia oltre alla botanica e alla medicina.

L'opera
La prima edizione dei Discorsi, quella del 1544,  constava di V libri, costituti da capitoli intitolati alle singole piante in ordine non alfabetico e senza illustrazione; per ogni capitolo alla traduzione del testo di Dioscoride seguivano le estese considerazioni di Matthioli riguardo a quale pianta  fosse da identificare col nome greco, gli usi popolari e medici del suo tempo e molte altre e varie informazioni.
Il testo vero e proprio era introdotto da una dedica con delineati gli intenti del testo e alcune considerazioni sullo studio delle piante.
Nel 1548 esce la seconda edizione italiana, questa volta corredata da immagini e con l'aggiunta di un VI libro sugli antidoti, da alcuni considerato apocrifo. L'anno successivo esce la prima di una serie di edizioni non approvate dall'autore.
Al 1550 data la terza edizione ufficiale alla quale sono stati aggiunti gli indici delle piante trattate, delle cure per varie parti del corpo, per particolari malattie o disagi, per i diversi veleni, dei rimedi cosmetici, di purghe e vomitivi; un vocabolario dei termini medici; gli equivalenti correnti di pesi e misure citati da Dioscoride; un elenco delle parti vegetali, animali e minerali utilizzate.
Negli anni a seguire si susseguono svariate edizioni, quella del 1568 vede l'aggiunta di figure più grandi e chiare disegnate da Giorgio Liberale e un saggio sulla distillazione delle acque aromatiche. L'ultima versione uscita durante la vita di Matthioli potrebbe essere quella del 1573, ma se ne succederanno varie altre fino al XVIII secolo, così come le traduzioni in francese, ceco e tedesco.

Purtroppo non sono ancora riuscita a capire di quale manoscritto o famiglia di manoscritti di Dioscoride sia servito Matthioli per la sua traduzione del De materia medica.
Al di là di ciò l'opera di Matthioli è sicuramente molto più di una semplice traduzione vista l'enorme mole di notizie forniteci per ogni erba o sostanza presente in Dioscoride, ma anche per nuove specie e materie provenienti dall'Oriente, dalle Americhe od anche appartenenti alla nostra flora spontanea. Inoltre oltre alle nozioni strettamente mediche e botaniche, introduce molti aneddoti ed usi popolari dei semplici, e questo rende i Discorsi un prezioso documento di etnobotanica, oltra a darci la possibilità di dare una sguardo alla vita quotidiana delle campagne italiane del '500.
Riflessioni
Matthioli scrive che per i Greci la medicina veniva dagli Dei, dal centauro Chirone, da Apollo e dal figlio Asclepio, a queste credenze lui sostituisce quella secondo cui essa è stata instillata all'uomo da Dio al momento della creazione, quando ha soffiato il suo respiro in Adamo e gli ha dato potestà su tutte le cose della Terra, come è raccontato nella Genesi. Come un padre pietoso avrebbe fatto questo dono all'uomo, in previsione dei mali che l'avrebbero afflitto dopo la cacciata dal Paradiso.
Dunque vediamo come cambino i nomi e le forme ma la sostanza resti immutata: è sempre un'entità divina a fare dono della conoscenza dei semplici e della possibilità di risanare agli esseri umani.
Matthioli si concentra poi su alcuni conoscitori delle erbe del mondo antico, citando illustri re come Gentio d'Illiria che ha dato il nome alla Genziana, studiosi della romanità come Catone e Plinio, ma anche poeti come Orfeo, Esiodo, Omero e Alceo, i quali grazie alla loro arte hanno eternizzato queste conoscenze. Continua citando le donne conoscitrici dei farmaci quali Circe, Medea, Elena e Artemisia, la cui conoscenza rimane nei nomi di alcune piante a loro dedicate, e rileva come persino gli animali abbiano un elementare conoscenza delle erbe poiché se ne nutrono per risanarsi in certi casi.
Fa poi una considerazione particolare: dice che le piante stesse hanno "religione", poichè alcune, come l'Eliotropio e la Cicoria, si volgono verso il sole, principio divino della conoscenza e che dunque è vero che hanno un'anima, come già sostenevano gli antichi, anche perché si nutrono e riproducono così come fanno gli animali e gli esseri umani.
Questa concezione delle piante dotate di un'anima, e dunque non così lontane dall'essere umano, ignorata dai più ai giorni nostri, mi sembra invece un'utile strumento per cercare di avvicinarsi al mondo verde e alle erbe che curano con una consapevolezza ed una sensibilità più sottile ed aperta, che potrebbe dare risultati insospettati.
Dice poi che Dio pose l'uomo non in case o palazzi, ma in un giardino, il Paradiso appunto (dal greco paradeisos "giardino"), poiché egli trae diletto da un tale ambiente, ed anche questa mi sembra una considerazione attualissima guardando le nostre città dalle quali la Natura è stata costretta a ritirarsi. E forse, proprio a questa condizione sono dovuti determinati malesseri che affliggono l'uomo moderno.
Propone poi tutta una serie di esempi di erbe "maravigliose", ovvero magiche, sia citate dagli antichi sia dai moderni, e dice che pur essendoci persone che non credono ai loro poteri, ciò non significa che non siano veri, ma solo che ci sono cose insite nella Natura che all'uomo non è dato conoscere con l'intelletto. (Questa me la segno per le mie prossime discussioni a riguardo).
Rileva il fatto che "non si trova luogo veruno, che non habbi qualche parte di Medicina", e credo che ciò abbia colpito almeno una volta chiunque s'interessi di erbe: persino la Parietaria cresciuta in una crepa dell'asfalto, o la Cimbalaria spuntata fra le pietre di un muro, hanno la "nobiltà" e l'utilità delle più note medicine, e potrebbe in qualche modo corrispondere a verità il fatto che in ogni posto si trovano le erbe utili a curare le malattie del luogo.
Un'altro punto che mi ha colpito è dove si dice che non bisogna tenere per sé i segreti delle erbe, poiché non ci appartengono, e non trasmettendoli faremmo danno ai posteri e condanneremmo al'oblio qualcosa di prezioso.
Notiamo in fine, che Matthioli scrive nel '500, uno dei secoli più funesti della caccia alle streghe, e che nel suo libro, cita alcune erbe da loro usate, o casi di presunti incantamenti. E forse non è un caso che la sua opera dati proprio al periodo durante il quale medici ed ecclesiastici miravano ad avere l'esclusivo controllo delle cure, eliminando centinaia di levatrici, herbane, erboriste che forse da millenni si tramandavano un sapere antichissimo ed alternativo.


Immagini
Immagine 1: Pietro Andrea Matthioli in una stampa del 1572 di Philippe Galle con versi di Arias Montano
Immagine 2: Frontespizo dell'edizione non autorizzata dall'autore del 1549
Immagine 3: Fragaria dell'edizione del 1568, colorata a mano

Utilità
Qui riproduzione digitalizzata dell'edizione dei Discorsi del 1563
Qui riproduzione digitalizzata dell'edizione dei Discorsi del 1573
Qui riproduzione digitalizzata dell'edizione dei Discorsi del 1585
Qui si possono trovare altre opere di Matthioli in latino e la versione in latino dei Discorsi.

Fonti
Bibliografia dei Discorsi di Pietro Andrea Mattioli di Renzo Console
Treccani -Pietro Andrea Mattioli di Cesare Preti

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Storia dell'Achillea
Storia della Calendula
Storia della Violetta
Dioscoride

giovedì 1 ottobre 2015

Essiccazione e conservazione

Dopo aver raccolto le nostre erbe e averle portate a casa queste, a meno di non volerle usare fresche, vanno essiccate o lavorate. Prima di tutto controllate che non ci siano foglie o parti di altre erbe, insetti, polvere e terra, e che ciò che avete raccolto sia sano (no macchie scure, muffe ecc.).
In caso si tratti di piante o sommità fiorite con poca acqua all'interno come il Rosmarino, si possono raccogliere in mazzetti e appendere, se invece le erbe sono più umide, o sono singole foglie bisogna disporle in strati sottili rivoltandoli di tanto in tanto; si possono usare cestini di vimini piatti e larghi o gratticci, in modo che l'aria passi anche sotto e favorisca un'essiccatura uniforme, sono assolutamente da evitare i piani di metallo o plastica o di qualsiasi materiale che non lasci traspirare la droga. In mancanza di cestini e simili si possono stendere su fogli di carta da pacchi o dei sacchetti per il pane che assorbono l'umidità dell'erba. Un'altra alternativa facile e a basso costo è crearsi una piccola intelaiatura con assicelle di legno su cui tendere una retina, e se si ha un po' di posto all'aperto si può costruire un essiccatore solare con una struttura in legno in cui infilare "come cassetti" le reti tese sulle assicelle. Mai far seccare le erbe alla luce diretta del sole che potrebbe alterarle, meglio in luoghi ombrosi, asciutti e areati, ottimi sono portici, soffitte, verande.
I fiori visto che spesso sono molto ricchi d'acqua vanno sparsi in strati molto sottili; e così anche i frutti che sono solitamente molto umidi. Se sono grandi possono essere appesi al sole singolarmente per il picciolo, come si fa con i cachi, facendo attenzione a che non siano in contatto l'uno con l'altro o con la parete, oppure in lunghe collane come i fichi. Le radici vanno lavate ed evenutalmente spazzolate per rimuovere la terra, tagliate in pezzi per velocizzare il processo ed esposte al sole, e così anche le cortecce vanno ridotte in piccoli pezzi. I semi, soprattutto se avvolti da polpa o filamenti possono essere esposti al sole.
Tutti questi accorgimeni mirano a far asciugare la droga nel più breve tempo possibile, in modo che non si creino muffe che potrebbero danneggiare le sostanze utili contenute nelle varie parti. Le foglie sono pronte quando strofinate fra le dita scricchiolano e si rompono; i tempi dipendono dalla singola pianta, dal clima e dal luogo in cui le avete messe, ma diciamo che come minimo dovrete aspettare dieci gironi. Il colore deve essere il più vicino possibile alla pianta fresca: non devono formarsi macchie scure né deve annerirsi o ingiallirsi.
 I frutti possono essere riposti quando hanno una consistenza gommosa (quella dei fichi secchi per capirci), i semi quando sono perfettamente secchi, come quelli che si comprano per seminare o cucinare, e così pure le radici e le cortecce.
 In caso il clima sia stato umido durante il periodo di essicatura, le droghe possono essere esposte al sole per qualche ora prima di essere messe via.
Il periodo migliore per essiccare è quello della Luna calante, tenendo comunque conto che facilmente l'essiccazione durerà più di una singola fase lunare.
Indicativamente da:
1 kg di foglie o erbe si ottengono 150 g di droga secca
1 kg di radici o bulbi si ottengono 300 g di droga secca
1 kg di rami si ottengono 400 g di droga secca
1 kg di gemme si ottengono 500 g di droga secca
1 kg di cortecce si ottengono 500 g di droga secca (1)

A questo punto le nostre utili amiche vanno riposte in barattoli di vetro (meglio se scuro) o porcellana ben chiusi, etichettati con nome della pianta, data di raccolta ed eventualmente il luogo. Questo perché quando si iniziano ad avere dieci barattoli diversi a volte non ci si ricorda più cosa c'è dentro e non sempre le erbe sono riconoscibili dopo l'essicazione. I vasetti vanno conservati in un luogo asciutto e buio, perché la luce potrebbe deteriore le parti delicate come i fiori.
C'è chi prima di metterle negli appositi contenitori sminuzza le erbe in modo che siano più pratiche da usare, ma io personalmente preferisco farlo sul momento, in modo che i principi attivi rimangano intatti fino all'ultimo momento. Chiaramente questo discorso non vale per rami, cortecce e radici che non si potrebbero mettere via interi.
Per sminuzzare semi, cortecce e radici si può usare il mortaio, meglio se in pietra e non in legno (difficile da pulire) o in metallo (può modificare e degradare alcune sostanze utili), lavorando piccole dosi alla volta. In alternativa va bene anche un macina-caffé ben pulito; sarebbe meglio evitare i frullatori elettrici perché il calore generato dalle lame rotanti potrebbe far disperdere certi principi attivi. In mancanza d'altro si può usare una grattugia.

In linea di massima se essiccate e riposte correttamente, le foglie si conservano per circa un'anno, le radici e le cortecce anche di più, i fiori iniziano a perdere proprietà quando il loro colore sbiadisce. E per fortuna dopo l'anno ci troveremo di nuovo nel periodo di raccolta della pianta, quindi potremo rimpinguare le nostre dispense e non rimanere mai senza (ma la notate la perfezione di questa tempistica naturale?).
Nonostante le accortezze durante la raccolta, può accadere di ritrovarsi con vasetti mezzi vuoti contenenti piante secche da più di un anno: non buttatele via! Ricordate che sono esseri viventi e che le avete colte come un dono curativo e riarmonizzante. Se sono erbe profumate potrete mischiarle e metterle in sacchettini di tela da appendere negli armadi (qui una mia versione) o in pezze di tela da aggiungere all'acqua della vasca, od ancora usarle come decorazione di saponi o di sali da bagno. In qualsiasi caso non buttatele nella spazzatura, piuttosto mettetele sulla terra dei vasi come paciamatura (molte erbe utili e aromatiche hanno proprietà benefiche anche per gli altri vegetali, le vostre piantine ringrazieranno!) o nell'orto.


Note
(1) Tabella tratta da Scoprire, riconoscere e usare le erbe 

Fonti
Servirsi della luna, Johanna Paungger e Thomas Poppe, TEA, 2005
Scoprire, riconocere, usare le erbe, Umberto Boni e Gianfranco Patri, Fabbri Editori, 1979

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Raccolta 

L'uomo che piantava gli alberi

L'uomo che piantava gli alberi di Jean Giono, Salani Editore, 2008
Numero pagine: 51
Titolo originale: L'homme qui plantait des arbres
Lingua originale: francese
Prima edizione: 1953
Prima edizione italiana: 1958 (con titolo diverso)
Genere: romanzo
Ambientazione: Francia del sud
Epoca: XX sec.

La prima volta che ho sentito parlare di questo libro ho pensato che doveva essere uno di quei romanzi un po' surreali dove non si capisce mai davvero cosa succede (non so perché eh, puro pregiudizio). Poi C. me n'ha parlato ed ho pensato "Beh C. mica ha cattivo gusto, magari è bello davvero..." ma poi m'è sfuggito di mente.
Alla fine mi è capitato davanti il film d'animazione tratto dalla storia di Jean Giono. Pura poesia. Immagini e parole sfumate ma solide, incisive. Delicatissimo. Una meraviglia. E fortunatamente il testo è praticamente identico a quello del libro (una volta tanto!).
L'uomo che  piantava gli alberi, ora il titolo mi parla di qualcuno che ha avuto il coraggio di essere un Creatore, senza superbia e senza sfiducia, di qualcuno che ha realizzato sé stesso nella pace trovata fra gli alberi, anche dopo molto dolore.
La storia ambientata all'inizio del secolo (non questo in effetti, ma quello prima), viene  narrata da un uomo che si avventura nelle impervie regioni alpine del sud della Francia, ed è lì, fra paesi abbandonati ed aride chine, che incontra Elzéar Bouffier, un solitario pastore che con incrollabile pazienza pianta i semi degli alberi. Credo che chiunque abbia letto questo libro non possa fare a meno di amare ed ammirare la serenità e la semplicità di questo personaggio, ancorché fantastico. Il racconto si snoda per circa quarant'anni, e parla di terre rese nuovamente verdi e ricche, di ritorno alla terra, di amore per ciò che si fa, di determinazione...insomma, di cose veramente non da poco.

Pubblicato per la prima volta nel 1953, nel 1987 il regista Frédéric Back ne trae il cortometraggio a cui ho accennato, che si può vedere qui. Sedetevi lasciando perdere per una mezz'ora tutti i vostri pensieri, e accompagnate l'uomo che cammina sui monti, verso una Creazione degna del Dio della vita...


"Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c'è voluto di costanza nella grandezza d'animo e d'accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l'anima mi si riempie d'un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un'opera degna di Dio."

Utilità
Qui si può trovare il testo integrale con illustrazioni.
Qui una canzone dei Ratti della Sabina inspirata al racconto.
Qui un interessante articolo su Jean Giono.