venerdì 23 agosto 2019

Il canto di Penelope

Il canto di Penelope di Margaret Atwood, Ponte alle Grazie, 2018
Numero pagine: 160
Lingua originale: inglese
Titolo originale: The penelopiad
Prima edizione: 2005
Prima edizione italiana: 2005
Genere: romanzo breve mitologico
Ambientazione: Grecia
Epoca: mitologica

Di Margaret Atwood ho letto vari romanzi, alcuni che mi hanno conquistata, come Il racconto dell'Ancella e L'altra Grace, ed altri che non mi hanno detto nulla, come La donna da mangiare; il che è comprensibile comunque, all'interno di una produzione ampia come quella della Atwood è praticamente impossibile che piaccia tutto. Sicché, ogni volta che apro un suo libro, non so mai se finirà nella categoria "belli" o in quella "noiosi", e quando ho iniziato a leggere Il canto di Penelope, non avevo proprio idea in quale sarebbe finito: l'argomento mitologico è fra i miei prediletti, ma per scrivere qualcosa di nuovo sull'epica omerica bisogna essere fantasiosi e bravi scrittori.
Il libro è composto da una breve introduzione, in cui la Atwood specifica i motivi del libro ed il fatto di aver considerato altre fonti, oltre all'Odissea, per ricostruire la vita ed i pensieri di Penelope, affascinata dalla tragica fine delle dodici ancelle di Penelope impiccate dopo il ritorno di Odisseo e la strage dei pretendenti, per essere state loro complici ed amanti.
E' Penelope stessa, dall'Ade, a raccontare la sua vita e quella delle sue dodici ancelle, le quali come personaggio collettivo in una sorta di coro da tragedia greca, intervengono direttamente ad intervallare la narrazione principale con brevi canti poetici, riprendendone i temi. Penelope sa che la sua storia, così come è stata tramandata, è divenuto un racconto edificante su come le donne debbano comportarsi, così richiama i momento della sua vita, dall'infanzia quando fu salvata dalle anatre di cui porta il nome, alla prova sostenuta da Odisseo per poterla sposare presso il padre Icario, la vita ad Itaca, la nascita di Telemaco e la partenza di Odisseo, gli anni solitari dell'attesa, le insidie dei Proci, l'inganno della tela, il viaggio di Telemaco alla ricerca di informazioni sul padre, ed in fine il ritorno del marito e la strage dei pretendenti e delle fedeli ancelle. Sul finale si trova una nota antropologica sul culto lunare, che sembrerebbe essere adombrato dal sacrificio delle dodici ancelle, interpretate come i mesi lunari, di cui il tredicesimo sarebbe rappresentato da Penelope stessa, una sorta di somma sacerdotessa di questa sorellanza lunare. Nella sua forma ricorda le teorie frazeriane di Robert Graves in I miti greci, il quale in effetti viene ricordato dall'Autrice nella nota finale.
Leggiamo anche di un processo ad Odisseo dei giorni nostri, a tratti tragicomico, in cui viene affrontato il tema dello stupro delle dodici ragazze, mentre nella conclusone esse diventano, nella morte e vita dopo vita, delle persecutrici di Odisseo, dal quale non hanno mai ottenuto giustizia.
In questo campo di Asfodeli malinconico che è l'Ade, incontriamo da vicino i personaggi che di norma le rielaborazioni dell'Odissea lasciano in ombra: Anticlea, la madre di Odisseo, Euriclea la vecchia nutrice, un po' maniaca del controllo, un po' eterna balia; Melantò dalla bella guancia, l'ancella fedele; Antinoo, il pretendente più agguerrito. Troviamo anche Elena, che risulta un personaggio leggero, privo di sostanza, una bellezza vuota di significato e di carattere; il rapporto fra lei e Penelope è fatto di rivalità e confronto, come spesso succede anche nella vita reale fra alcune donne. Ed in effetti le dinamiche femminili sono il vero tema di questo libro: quella fra Penelope e le ancelle, con Anticlea e Euriclea nel momento in cui si inserisce in una casa straniera con le sue regole, con il figlio ormai adulto, con i pretendenti esemplificati da Antinoo che la vedono solo come uno strumento per raggiungere potere e ricchezza, ed in fine quello con Odisseo, che in un gioco di specchi con l'Odissea, ha qui il ruolo normalmente assegnato a Penelope, quello di comparsa.
E' molto forte anche il tema della differenza di classe che condiziona in maniera massiccia la vita delle ancelle: non sono principesse e regine, ma donne di fatica alla mercé di chiunque.
Penelope ci parla del passato ma senza essere cieca sul presente contemporaneo, che osserva dall'Ade, cosicché la dimensione epica e quella presente si mischiano in una maniera particolarissima, è sicuramente una trova molto interessante, poco comune nel genere dei rimaneggiamenti dell'epos omerico. 
La forma è mista, atipica, spazia dalla prosa alla poesia, dalla narrazione al testo teatrale, dal passato al presente, dal mito alla denuncia sociale e di genere, dal tragico al comico in maniera riuscita.
Quindi per tornare alla domanda iniziale: in quale categoria collocherei questo romanzo della Atwood? Direi che può entrare tranquillamente nella categoria dei "belli", l'unica pecca infatti è che sia troppo corto!
Consigliato sia agli estimatori della mitologia greca, per poterla vedere in una luce diversa, sia a coloro che apprezzano i romanzi incentrati su tematiche e personaggi femminili.

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