mercoledì 12 febbraio 2014

Lo Spirito del Larice

"Ma i larici che personalmente ammiro e fors'anche venero, sono quelli che nascono e vivono sulle scaffe delle rocce che portano il tempo: sono lì nei secoli a sfidare i fulmini e le bufere, sono contorti e con profonde cicatrici prodotte dalla caduta delle pietre, i rami spezzati, ma sempre, a ogni primavera quando il merlo dal collare ritorna a nidificare tra i mughi, si rivestono di luce verde e i loro fiori risvegliano gli amori degli urogalli. E all'autunno, quando la montagna ritorna silenziosa, illuminano d'oro le pareti."
Mario Rigoni Stern, Arboreto salvatico, Einaudi, 2015 

Da un po' di tempo sento il bisogno di scrivere di lui, l’aggraziato abitante delle vette,  l’amante del Sole che cresce nell’aria azzurra e rarefatta delle montagne che amo. E quando lo vedo così forte, tenero e inusualmente leggiadro non posso fare altro che sorridergli. A chi me l’ha chiesto, ho detto che in questo periodo della vita l’albero a cui mi sento più affine è lui, il Larice. Ho provato ad ascoltarlo a studiarlo e ad avvicinarlo con la mente e con la pancia e questo è ciò che ho ottenuto.

Intanto per capire lo Spirito di una pianta serve osservala: come cresce? In che ambiente? Come si comporta con gli altri vegetali? Come interagisce con gli altri esseri viventi? Cosa dice il suo aspetto?
Guardiamo il Larice:  ama le cime dei monti e da quelle grandi altezze si può dimenticare tranquillamente del tran tran delle grandi città, delle notizie di guerra e della plastica dietro ad ogni filo d’erba, non è uno di quegli alberi da centro urbano, non sopporta il rumore e le folle, no, lui punta ai luoghi in cui dimorano ancora solo vecchi, qualche pastore, pochi spiriti dei boschi e gli animali selvatici. Vive bene con i propri simili proteggendosi a vicenda, ma sa stare anche con quei pochi altri abitanti del confine estremo delle foreste: il Cembro, il Mugo, la Betulla… E poi, vogliamo parlare della libertà di quei Larici che crescono a guardia di poche mandrie e qualche malgaro, laddove gli altri alberi cedono il posto ai prati e all'infinito trionfo dei fiori e dei cespugli di mirtilli e rododendri? Vogliamo dire della sensazione esaltante di pace e compimento di quegli individui isolati in cima al mondo, come yogi o Buddha che ignorati da tutti hanno raggiunto  l’illuminazione? Sono i compagni di marmotte, aquile, volpi, qualche coppia di lupi ed altri piccoli animali laddove Natura merita ancora pienamente questo nome.
Ma lassù il Larice si sa adattare ad ogni condizione, affronta senza rimpianto per la pianura il clima mutevole delle vette e riesce a trarre nutrimento da qualsiasi terreno, anche poco ricco, basta che non sia pesante, zuppo e con acqua stagnante. Perché se c’è una cosa che il Larice proprio non sopporta è il ristagno, di acqua, di aria (infatti i lariceti sono piuttosto radi) e dell’energia vitale in generale,  per questo, secondo me, Larch come fiore di Bach aiuta le persone la cui vita è bloccata dalla mancanza di fiducia in sé stessi.
Cresce dritto, snello e slanciato se lo si lascia fare, quelli che invece hanno preso un po’ di bastonate e qualche tempesta di troppo sono più pesanti e contorti, ma lui, il Larice, resiste sempre, e più lo si mette alla prova più si fortifica e indurisce, e credo che sia anche per questo che giova a chi manca di stima per le proprie capacità.
E poi a guardarlo, il Larice ti inganna un po’: ok è una conifera pensi, ma non austero e folto come l’Abete, né massiccio e leggermente inquietante come il Tasso, ed è anche diverso dal Pino Mugo e dal Cembro che pure a volte gli crescono insieme, meno tozzo e pieno. E poi c’è anche quella questione della perdita delle foglie a confondere ulteriormente le carte. Forse è per questo che i tipi Larch negativi pensano di non saper affrontare le difficoltà, gli inverni dell’esistenza: li confonde il fatto di perdere le foglie, l’energia esterna che si concentra invece all’interno, in modo da lavorare nel profondo, per poter sopravvivere fino a primavera. Beh cari i miei amici Larch negativi, adesso ve lo dico e ricordatevelo: benché perdiate le foglie siete conifere, ovvero siete fatti per affrontare il freddo, l’inverno; voi nella neve ci sguazzate, se solo siete in grado di prendere la decisione di mollare la presa e tuffarvi nella vita.
Ma continiuamo, vediamo il portamento: chiaramente non è un come il Nocciolo dai mille fusti, né come la Quercia dai molti e possenti rami, ma neanché immita la Betulla sempre in ordine e leggiadra; no, la forma è quella tipica delle pinacee, il cono. Il Larice ha la sua direzione e segue quella, non si allarga di qua e di là a tastare e conoscere cose diverse, lui sa da che parte andare, e cioè verso il Sole. E così fa crescendo veloce, dritto e diretto, ma con brio. Infatti i suoi rami maggiori, crescono più o meno tutti alla stessa angolazione, ma se lo guardate quando è spoglio, i rametti più piccoli, frastagliati dai brachiplasti, sembrano andare dove vogliono loro, a volte riversandosi in basso a cascata, altre puntando verso l’alto proprio prima di finire (sembrano i capelli di una vecchia strega! Di quelle di campagna un po’ nonne e un po’ megere, vagamente inquietanti, appena appena ridicole, sicuramente sapienti). Però anche quando ha le foglie la chioma rimane ariosa e leggera, aperta, e con quel senso di scapigliato adorabile, misto a una grazia tutt’altro che artefatta e posata. Insomma, fra le altre cose non mi stupisce manco un po’ che le leggende dolomitiche lo facciano derivare dal velo da sposa dell’amante del Sole!
E quelle foglie, appuntite, è vero, ma diciamocelo: è tutta apparenza, il Larice non punge, quella sua aria di minaccia serve solo come arma preventiva per tener lontani compagni indesiderati. Quando deve dir loro addio lo fa in grande stile, con il verde tenero che a poco a poco si trasforma in una cascata d’oro e poi in un tappeto ramato; si prende il suo tempo ma lo fa.
Veniamo alla sua abbondanza di linfa, quel suo sangue vegetale delle mille proprietà che nei tempi passati si raccoglieva e lavorava in tante maniere, grazie ai molti saperi pratici degli uomini e delle donne della montagna, che nel suo seno duro ma generoso trovavano tutto. Questa sua resina chiarisce quel senso di fluido e acquoreo che mi dà l’albero nel suo insieme, ed infatti essa stessa aiuta a far scorrere le acque e disperdere i ristagni: è diuretica, ed il fiore di Bach aiuta a sbloccare le situazioni di mancanza di fiducia (l’acqua rappresenta l’emotività e la sensibilità, doti di cui spesso gli sfiduciati sono ricchi, ma che non sanno bene come esprime e liberare al meglio). E poi, aiuta a respirare liberamente, infatti giova in caso di tosse e come rimedio floreale ci aiuta a respirare di nuovo, ad aprirci così come aperti ai venti sono le chime dei Larici ed il bosco che formano, a tirare un sospiro di sollievo dopo esserci tolti un peso, tacitando quel giudice interiore inviperito che ci portiamo appresso, che ci dice sempre che no, non ce la possiamo fare, che non vale manco la pena provare, che comunque non siamo capaci di farlo, che il fallimento rovinoso è certo ecc. ecc.
Da notare che è proprio l’abbondanza di resina che rende il Larice tanto resistente all’usura del tempo e degli elementi, quindi, non lamentatevi della vostra sensibilità e dei vostri sentimenti se veri, fluidi e trasparenti come la linfa dell’albero: sono proprio loro che vi mantengono vivi, vitali e in grado di far fronte agli eventi.
E poi il rosso, gente; vorrebbe quasi nasconderlo, sembra, ma la sua corteccia lo mostra chiaramente, in superficie se è giovane e sotto alle scaglie grigio-brune se è più vecchio, i suoi fiori lo dichiarano apertamente e per chi avesse ancora dubbi le sfumature del suo legno lo confermano per molti anni a venire (tutti i lunghi anni in cui travi e assi resistono diligentemente alle intermperie). Ed il rosso vuol dire Eros, vuol dire Amore, voluttà, malizia, sensualità soprattutto, ma diffusi e leggeri, quasi diluiti e sfumati. Come le volute che creano le gocce d’inchiostro nell’acqua, se avete presente, o il karkadé quando lo si mette nella tazza (che paragoni!).
I frutti: sono i figli dell’albero, ciò che esso genera, ciò che reca i semi di nuove generazioni. Ma i figli non sono solo fisici, sono tutte quelle idee, opere, pensieri, progetti che una donna concepisce, sviluppa, nutre ed in fine affida al mondo. Ed all’individuo Larice piace conservare i suoi frutti dopo che hanno rilasciato i semi, gli piace ornarsi delle sue conquiste e delle sue vittorie, dei suoi successi e delle buone idee che ha avuto per poterne fare uso ogni volta che serve. Li riprende e li riusa, li approfondisce e chiarisce. Quando poi non servono più, perché la vita si evolve e va avanti, li lascia cadere scienza rimpianto con rametto e tutto.

Il Larice, il Larice…il Larice.  Ecco quello che mi ha rivelato nei nostri taciti colloqui, ho capito che sposa forza e resistenza, perseveranza, semplicità, grazia ed una certa eleganza benché un po’ scomposta. Il suo messaggio è l’apertura, all’aria, alla vita, alla luce sempre però con un certo riguardo Questo messaggio è lo stesso che porta il fiore di Bach a coloro che invece si ripiegano e chiudono in sé stessi. Se loro cedono il passo ad altri, il Larice invece si prende lo spazio che gli serve, non ha bisogno di giustificazioni per farlo.

Abbandoni la confusione e la folla in favore della Natura (la tua natura o quella esteriore) da solo o con i tuoi fratelli, ed eccoti lassù dove non tutti arrivano e hanno le risorse e la forza per vivere, ma sappi che anche se credi di non farcela in realtà sei più versatile di molti altri che ti appaiono più ricchi e “ramificati”, vari; la tua vita creativa, la tua anima, è in grado di trovare nutrimento anche nelle situazioni più povere di nutrimento, anche quando i sassi e i fulmini della vita ti colpiscono a causa della tua posizione di pioniere. Non importa, cioè sì ma non è questo l’importante: tu vai e fai quello che senti e sii quello che sei, anche se ti sembra di non sapre come, anche se ci sono degli ostacoli e le avversità sembrano abbattersi su di te, non sono forza e resistenza che ti mancano. Fallo. Perché se segui il tuo spirito “non puoi mancare a glorioso porto” (per dirla con Dante) e ciò che non ti uccide (e sono poche le cose che possono uccidere il Larice) ti fortifica, e di molto. Lo spazio, la luce e la libertà non sono un optional o qualcosa che ti può essere concesso, ma ciò che tu devi a te stesso.
E poi, lo so, tu credi di non sapere quel’è la tua direzione, ma guarda in alto verso il Sole, la Luce e la Verità.
E vai.
Vi chiederete forse come faccio a parlare così, a parlare per il Larice…ebbene, ho detto che mi sento come Lui ora. Ma per molto tempo tutti i caratteri negativi che vengono curati da questo rimedio floreale sono stati i miei lati buii, i miei mali, che credevo insanabili. Sicché, compagni Larch, non disperate, si può guarire!
Questo viaggio con il Larice è stato lungo ed affascinante, mi ha dato molto e smosso dentro, così come il Cipresso ed il Frassino prima di lui, anche se di questi non ho scritto. Vedremo quale altro albero occuperà i miei giorni ed il mio cuore ora…

Buon viaggio e buona vita, gente!

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Vedi anche:
Larice
Illustrazioni botaniche di Larice
Mitologia del Larice.

martedì 11 febbraio 2014

Mitologia del Larice

Nelle valli dolomitiche, laddove il Larice occupa vasti pendii e sembra quasi che arrivi a lambire i cieli limpidi sopra le vette, e alberi e animali sembrano ancora essere lì lì per mettersi a fare accordi e narrare storie agli uomini, si narra di come vide magicamente la luce. In Val Costeàna, vicino a Cortina, si trovano il Col de la Merisana e poco distante il Ru de ra Vèrgines “il torrente delle Vergini”, così chiamato, secondo i racconti del luogo, perché abitato da incantevoli spiriti femminili delle acque, che nel caldo mezzogiorno uscivano dal fiume vestite di chiari abiti, e vagavano sul colle della Merisana. La collina prendeva il nome dalla loro regina, Merisana appunto, la bellissima signora delle Ondine, alla quale andavano il rispetto e l’amore di piante, animali, acque e spiriti naturali. Ma nonostante la vita beata e la bellezza del suo regno incantato, Merisana, non era felice, poiché il suo cuore pietoso le diceva che non esisteva felicità se qualcuno nel mondo soffriva, ed erano tanti coloro che ovunque si trovavano in questa condizione, secondo quanto le raccontavano ogni tanto i pastori. Un bel giorno però, il Rèi de Ràjes (Re dei Raggi), sovrano di un luogo poco distante, si trovò a passare lungo il rio delle Vergini, dove si fermò a riposare. Mentre fissava le limpide acque del fiume ecco apparire ai suoi occhi il volto di una splendida fanciulla, tanto bella come mai ne aveva viste, che per un solo istante lo fissava dal fondo del torrente, per scomparire subito dopo. Che dolcezza in quegli occhi, che grazia in quell’espressione amorosa, quale bellezza in quel volto!
Il Re dei Raggi tornò al suo regno, ma conservò chiaro e vivo nel cuore il ricordo della splendida fanciulla intravista nella corrente del rio, e per un intero anno rifiutò di prendere in sposa qualsiasi ragazza gli venisse proposta, per quanto bella, poiché sempre aveva davanti agli occhi quel volto dolcissimo.
Dopo quell’anno però gli venne rivelato che colei che aveva intravisto nei flutti, altri non era se non una delle fanciulle del fiume, e che poteva vederla emergere da esso ad ogni mezzogiorno. E così il Re dei Raggi fece in modo di trovarsi presso l’acqua nel fulgore del mezzogiorno, ed ecco che la bella fanciulla, che altri non era se non Merisana, emerse tutta adorna di gocce che rilucevano al sole. I due si parlarono, e per sei giorni lui si recò in quel luogo e si intrattenne lietamente con lei, e poi il settimo la chiese in sposa, ed essa disse che volentieri l’avrebbe sposato, ma prima avrebbe voluto trovare un modo per far cessare la sofferenza di tutti  gli esseri viventi. Il Re si consultò con i suoi saggi, ma questi gli riferirono che ciò che Merisana voleva era impossibile da realizzare; allora essa chiese che il dolore fosse bandito almeno per un giorno, quello delle sue nozze, ma ancora le venne detto che ciò non era fattibile. Così, alla fine essa acconsentì a condizione che tutti fossero felici almeno per un’ora, quella che lei aveva più cara, il mezzogiorno, durante il suo sposalizio.
Allora tutti si rallegrarono, gli alberi fronzuti, gli animali sui prati e nelle tane, le erbe piccole e grandi, i monti e i corsi d’acqua, perché per qualche tempo ogni loro dolore, ogni loro sofferenza fino al più piccolo fastidio furono sospesi. Allora la terra generò mille e mille fiori dagli infiniti colori e tutti li portarono come dono alla bella e gentile sposa che con il suo desiderio li aveva resi felici. C’erano così tanti mazzi di fiori quel giorno, che due nani presenti alla festa li raccolsero tutti insieme e diedero loro l’aspetto di un albero: il Larice. Ma il nuovo albero appassiva infretta poiché era fatto di fiori recisi, così Merisana rinunciò al suo velo di sposa e lo gettò sul Larice per dargli vita propria. Così sotto a quei rami sottili ornati di tutta la bellezza della terra e della riconoscenza di tutti i viventi per Merisana, si compirono le nozze fra lei ed il suo amato Re dei Raggi. Ed è proprio a causa della sua magica nascita che il Larice perde le foglie d’autunno a differenza delle altre conifere, e quando le riacquista in primavera e rinverdisce, si può intravedere in esso la trama sottile del velo da sposa della bellissima Merisana.

Merisana sembra essere una forma di “meridiana” (dal latino “mezzo giorno”), l’orologio solare che grazie all’ombra gettata da una punta su un piano numerato permette di sapere che ore sono. Strumenti di misurazione solare però sono diffusi in tutto il mondo dai più antichi primordi umani, e a questo ambito appartengono anche tutti quei luoghi costruiti in modo che i raggi di sole di un determinato giorno (solstizio, equinozio ecc.) colpiscano un punto particolare della struttura. Ma esistono anche meridiane naturali, costituite da pietre, cime di monti ed altro ancora, e una di queste si trova poco lontano dal luogo in cui si svolge la storia di Merisana, e prende il nome di Bèco de Mesodì “Becco di Mezzodì”.
Il nome
Rèi de Ràjes indica chiaramente il Sole, e tutta la leggenda è piena di riferimenti solari.
Il Larice è dunque il dono di nozze di una delle Amanti del Sole, una delle Luminose Signore delle Acque e della Luce, una Dispensiera di Gioia, una portatrice di bellezza e pace, colei che dona agli esseri viventi la quiete e la dolcezza, una Signora di compassione. Ed il suo albero non può che conservare parte di questo spirito lieto e donarlo a chi gli s’avvicina con rispetto e meraviglia.
Questa atmosfera luminosa e solare mi porta ad intravedere un legame fra il Larice e la festa del Solstizio d’Estate, quando il Sole è al massimo della sua forza ed il giorno dura a lungo, ma richiama anche la dea Diana nel cui tempio non esistevano ombre, ed anche quelle dee che ricevevano l’appellativo di Lucina (dal latino lux “luce”) o Lucifera “che porta luce” come la stessa Diana o Giunone. Ma Merisana mi fa pensare anche ad Amaterazu, la Dea-Sole dello shintoismo giapponese, ma anche alla compassionevole Tara del buddhismo indiano e tibetano, e a Kwan Yin del buddhismo estremo orientale.

Nel Tirolo il Larice era anche associato alle Salg Fräulein o Selige Fräulein, dove selig è traducibile come “beato, felice, benedetto, saggio” mentre fraulein significa “signorine”. Erano costoro soavi fanciulle biancovestite, che potevano essere viste cantare all’ombra dei vecchi Larici, e da loro potrebbero discendere le Salighe che ancora popolano i racconti del basso Tirolo. Si sa pochissimo di questi spiriti naturali, ma come molte loro sorelle, queste Dame bianco vestite, a metà fra fata, strega e saggia Donna mortale incarnano lo sprito della Natura e del bosco, e possono essere benevole e concedere favori e aiuto ai montanari, oppure dimostrarsi avverse a coloro che le importunano.
Presso alcune popolazioni siberiane come Ostiachi e Turaniani, il nostro albero sarebbe stato l’Albero cosmico (benché in questo caso non parliamo più di Larix decidua, ma di un’altra varietà) ed i boschi sacri che li ospitavano venivano ornati con pelli, frecce, oggetti in metallo, stoffe, pellice ed ospitavano le immagini degli Dei del luogo.
Di alcune altre interessanti notizie riguardanti il Larice non sono riuscita a trovare le fonti, come per esempio riguardo le Hexenrüttel, bacchette di Larice che in Germania si appenderebbero su porte e finestre il 30 aprile per tenere lontane le streghe, o la tradizione secondo la quale i bambini avrebbero indossato un collare fatto di corteccia di questo albero per tenere lontano il diavolo. Non dubito però che tradizioni simili siano esistite, ed in parte ancora si tramandino, nei luoghi in cui il Larice cresce presso le case ed è uno dei compagni della vita degli uomini. Tante piccole consuetudini ed atti d’amore e rispetto per questo saggio e luminoso fratello maggiore. Non ho dubbi che chissà dove e chissà quando donne e uomini di conoscenza hanno attinto allo spirito solare e leggero di quest’albero, lasciandosi guidare e consigliare da esso.


Bibliografia
Arboreto salvatico, Mario Rigoni Stern, Einaudi, 1996,
Donne selvatiche
, Claudio Risé e Moidi Paregger, Frassinelli, 2002
Encyclopedia of Fairies in World Folklore and Mythology
, T. Bane,
2013
Florario, Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2009
I Monti Pallidi, Carl Felix Wolff, Cappelli Editore, 1987
Leggende delle Alpi, Maria Savi-Lopez, Editrice Il Punto, 2011
Lo Spirito degli Alberi, Fred Hageneder, Ed. Crisalide, 2004
The Forest in Folklore and Mythology, Alexander Porteous, Dover Publication, 2002
The Lore of the forest, Alexander Porteous, Cosimo, 2005

Sitografia


Fotografia mia scattata a Quarzina (CN).


Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.


Vedi anche: 
Larice 
Illustrazioni botaniche di Larice
Lo Spirito del Larice

mercoledì 22 gennaio 2014

Larice

Il Larice fa parte della famiglia delle Pinaceae e l'unica specie diffusa in Europa è il Larix Decidua, dal latino larix “larice”, forse derivante dal gallico (durante l’età romana erano appunto i Galli ad abitare le zone di diffusione del Larice, le Alpi) lar “grasso” in relazione, probabilmente, all’abbondanza di resina. Secondo altri sarebbe affine al greco laros “soave, gradevole” forse per il profumo balsamico della linfa. Decidua viene invece dal latino decado “cado”, ed indica la particolarità del Larice di perdere le foglie con il sopraggiungere dell’inverno, a differenza delle altre conifere
Nomi popolari: Larxu, Mele, Boasch ross (Liguria), Malesso,  Malezo, Bregola, Laras (Piemonte), Lares, Aras (Lombardia), Arese, Larese (Veneto), Laris (Emilia), Abeto larice (Toscana).
Inglese Larch, Francese Mélèze, Tedesco Lärche (sostantivo femminile così come in Bulgaro e Rumeno).

Descrizione: Il Larice è un albero a rapido accrescimento che può raggiungere il 30-40 m di altezza, la forma è quella tipica delle conifere, con una chioma rada e leggera che lascia passare la luce fin sul terreno. Il tronco è solitamente dritto e slanciato, quando però cresce solitario oltre i limiti estremi dei boschi e più esposto al vento e alla neve, il fusto può divenire contorto e massiccio.
Fiori maschili
La corteccia degli individui giovani è formata da piccole scaglie bruno-rossastre, mentre gli alberi adulti presentano grandi scaglie grigio-brune con profonde spaccature che mostrano il rosso del legno sottostante. Le radici robuste penetrano in profondità nel terreno, permettendo alla pianta di affrontare anche estati secche. I rami principali sono disposti intorno al fusto tutti più o meno orizzontali mentre quelli più sottili sono lunghi e penduli. Le foglie aghiformi lunghe pochi centimetri, d’un verde tenero soprattutto a primavera, non pungono, e sono raccolte in ciuffi che spuntano da piccoli rigonfiamenti sui rami minori; il luogo in cui s’inseriscono gli aghi è chiaramente visibile quando l’albero è spoglio e dà al ramo un aspetto mosso e irregolare. D’autunno gli aghi assumono una colorazione giallo brillante per poi lasciare l’albero spoglio.
Fiori femminili
 I fiori maschili e femminili si trovano sulla stessa pianta e si formano a tarda primavera poco prima delle foglie, dopo vari anni di vita; i primi sono piccoli coni gialli rivolti verso il basso, i secondi piccole pigne rosso-rosa erette ma morbide. I frutti, anch’essi di colore rosso bruno si formano nelle pigne femminili indurite e sono ovali, marroni e con una piccola ala. Le pigne rimangono sui rami anche per degli anni dopo essere state fecondate ed aver rilasciato i semi in autunno, e spesso ai piedi dei Larici si possono trovare i rametti caduti con ancora molte pigne attaccate.
Vive facilmente per centinaia di anni, ed in Alto Adige si trovano alcuni esemplari che sembrano essere millenari.

Habitat: originario dell’Europa, in Italia cresce sulle Alpi dai 1000 agli oltre 2000, a volte però si può trovare anche coltivato sull’Appennino. Predilige terreni sciolti e privi di ristagno di acqua, anche poveri. Può formare boschi puri (lariceti) benché non siano molto frequenti, ed in questo caso la foresta è luminosa e ariosa ed il sottobosco ricco di muschi, mirtilli, uva ursina ecc. oppure insieme ad Abete rosso e Pino cembro o mugo costituisce l’estrema frontiera prima delle praterie alpine; spesso però si trovano esemplari solitari a guardia di prati e ghiaioni laddove le foreste cedono il posto alle distese erbose e ai picchi rocciosi. Resiste ai climi rigidi tipici della montagna e alle nevicate abbondanti, e sopravvive anche in terreni poveri che contribuisce ad arricchire (è una specie pioniera, cioè colonizza i territori poveri dove altre essenze non riuscirebbero a vivere e li arricchisce, permettendo un futuro instaurarsi di altri alberi) ma ama la luce ed ha bisogno di sole per svilupparsi.
Ai suoi piedi cresce in simbiosi il Boleto del larice o Laricino (Boletus elegans), un fungo commestibile, mentre sul tronco si possono trovare l’Agarico del larice (Polyporus officinalis) e una certa varietà di licheni; in Austria e Alto Adige può ospitare il Vischio e fra i suoi rami trovano dimora e ricetto la Civetta, il Picchio ed in particolare il Crociere (Loxia curvirostra) che si nutre dei suoi semi. Altre specie di Larice si trovano in America del Nord, Siberia, Cina, Giappone.

La droga è costituita dalla resina, una sostanza viscosa ma liquida, trasparente, di colore bianco-giallo e dal caratteristico odore balsamico. Si raccoglie in autunno dalle fessure naturali delle corteccia o da fori praticati a primavera; si filtra e si conserva in contenitori di vetro. Tuttavia non c'è più quasi nessuno che si occupa di questa raccolta, è uno di quei saperi che sarebbe bello e utile reimparare e tramandare perché sopravvivano. Alcune gocce si possono trovare anche sulla corteccia, soprattutto laddove l’albero è stato in qualche maniera lesionato. 

Utilizzi

Come sempre prendete ciò che segue per una ricerca, sperimentata solo in parte, e prima di utilizzare qualsiasi erba assicuratevi che sia quella giusta, che sia lontana da strade e fonti di inquinamento, verificate di non essere allergici o ipersensibili a qualche componente e prima di fare qualsiasi cosa consultate il vostro medico/omeopata/erborista. ATTENZIONE: l’uso interno è sconsigliato in quanto imprecisioni nel dosaggio possono causare effetti collaterali, le informazioni che seguono sono a scopo documentativo e informativo.
Proprietà: anticatarrali, tossifughe, espettoranti, diuretiche e per uso esterno rubefacenti, purificanti, antisettiche, antireumatiche.

Vapori: per calmare la tosse e liberare le vie respiratorie può essere utile gettare una piccola quantità di resina in un pentolino di acqua bollente e respirarne i vapori. In egual maniera si può usare l’olio essenziale estratto dalla resina stessa (benché sia un’essenza piuttosto rara, che si può trovare di solito solo in Svizzera, Austria, Alto Adige) magari in associazione all’olio essenziale di Eucalipto o Pino. Questi vapori servono anche per purificare e rinfrescare l’aria delle stanze dei malati, e per lo stesso fine si può mettere qualche goccia di essenza nel brucia-essenze, eventualmente aggiungendo anche il Tea tree.
Questa linfa profumata è anche diuretica, sicché può giovare in caso di cistiti e uretriti (ma in dosi eccessive irrita i reni, quindi sarebbe più saggio affidarsi a erbe meno pericolose).

Unguento: sempre con la resina si poteva creare un unguento utile per rimuovere le spine di legno, pulire le piccole ferite, aiutare la ciccatrizzazione e lenire i dolori reumatici, oltre che come balsamo da applicare sul petto in caso di tosse e catarro, ma non sono riuscita a trovare da nessuna parte una ricetta, anche perché queste spesso erano tramandate per generazioni all'interno di poche famiglie. Sicuramente qualche abitante della montagna sa ancora come si fa, ma tirando a indovinare visto che di base gli unguenti si preparano con cera e olio o un grasso animale come strutto o sugna o burro, si potrebbe provare a riprodurlo; se mai riucirò a procurarmi della resina vi farò sapere com'è andato l'esperimento. Se poi qualche lettore fosse a conoscenza di questa preziosa ricetta e volesse condividerla mi scriva!

Dalla lavorazione della resina si ottengono la trementina di Venezia (che ne era la principale commerciante), acquaragia e pece usate fin dall’epoca romana per conciare la pelle, rendere impermeabili i tessuti e il legno delle barche, sigillare le botti.

Inoltre, gli aghi possono essere aggiunti all’acqua del bagno per calmare i reumatismi, favorire la respirazione e pulire e avviare la ciccatrizzazione delle piccole ferite.
Larch è uno dei rimedi floreali di Bach, e viene usato in caso di mancanza di fiducia in sé stessi, quando le persone credono di avere limiti che non sono in grado di superare, si danno già pervinti in partenza, convinti di fallire a priori, si mostrano modesti ma sono molto suscettibili ai commenti degli altri, hanno buone capacità e sono dotati ma non si avventurano a sperimentare cose che non conoscono, cedono il passo ad altri anche quando sarebbero in grado di svolgere il compito.

Nel caso del Larice abbiamo a che fare con legno molto robusto e resistente, ma la sua compattezza varia a seconda delle condizioni in cui cresce: gli esemplari solitari ed esposti alle intemperie sviluppano un legno più duro e compatto, che può essere ulteriormente fortificato passandolo sul fuoco. Resiste sia all’usura del tempo che all’acqua poiché la resina lo rende impermeabile, tanto che in antico e fino a non molti decenni  fa veniva usato per costruire barche, fondamenta, grondaie, travi, assi, coperture esterne, infissi e addirittura un tipo particolare di tegole (le scandole) in grado di resistere all’umido e all’intemperie. Per questa sua caratteristica il Larice per centinaia di anni è stato l’amico fedele dei montanari, il suo legno non tradisce; gli alpigiani trascorrevano le loro vite insieme a lui, all’aperto nella bella stagione all’ombra dei suoi rami ed anche in inverno quando riposavano e lavoravano sotto al suo legno. Il Larice era il silenzioso compagno di tutti gli eventi della vita, tanto che è stato scritto recentemente “I paesi della valle son fatti di sassi, anime e larici.”(1)
Ma il legno di Larice oltre che materiale da costruzione forniva all’abitante della montagna molti altri benefici: alimentava camini e stufe (benché bruci piuttosto velocemente essendo molto resinoso) diffondendo nell’aria un vago odore balsamico; inoltre si prestava bene all’intaglio e i lavori di ebanisteria, conservando dopo la lavorazione delle calde sfumature rosso-brune; grazie alla sua resistenza all’umidità e alla sua impermeabilità era perfetto per costruire botti; se ne poteva ricavare carbone.
Del Larice però si usavano tutto, non solo il legno e la resina: la corteccia più superficiale essendo ricca di tannini si usava per la concia delle pelli (anzi una ragazza del Sud Tirolo, mi ha riferito che la pelle conciata in questo modo non si rovina se bagnata), per la tintura (nero), ed addirittura come copertura delle case, mentre quella interna si poteva macinare ed unire alla farina per fare il pane, ed essendo ricca di fibre giova al buon funzionamento intestinale. Inoltre il Larice produce la "manna di Birançon" che le api raccolgono e lavorano ottendo un miele molto denso e che, se puro, è molto difficile da utilizzare per gli apicoltori e per le api stesse;  da una sostanza zuccherina prodotta dalle foglie attaccate dagli afidi si ricava invece una melata dal sapore che ricorda quello della resina (2). Può essere che per questa sua caratteristica in alcune regioni i nomi del Larice facciano capo alla radice mel- “miele”, come per esempio il Ligure mele, il Piemontese malesso o melezè, il francese mélèze. Essendo i lariceti piuttosto luminosi favorivano la crescita di un ricco sottobosco composto anche da frutti di bosco quali il mirtillo e l’uva ursina, ed inoltre erano adatti per far pascolare le bestie.

Ricette
Sciroppo  di Larice: si riempie un barattolo alternando uno strato di fiori femminili quando sono ancora rossi e morbidi e uno di zucchero (meglio se di canna) e si lascia macerare al sole finché lo zucchero non si è del tutto sciolto (qualche mese) allora si filtra e si conserva in barattolini. Alcuni oltre alle pigne e allo zucchero aggiungono anche un po’ di alcool, e credo che potrebbe essere una buona intuizione, essendo la resina solubile in alcool. Se ne prende un cucchiaio in caso di tosse e stati influenzali.
Aggiornamento: io ho provato a farlo, solo che essendo astemia non riesco a sopportare il gusto dell'alcool, la prossima primavera proverò la versione solo zucchero!

Grappa di pigne di Larice e Pino Mugo: in tarda primavera si raccolgono le pigne di entrambi gli alberi, le si mette in una bottiglia dopo averle tagliate a pezzi, riempiendo fino a un terzo, e poi si completa con la grappa. Si lascia a macerare qualche mese, fin quando il preparato ha assunto una colorazione ambrata. In caso si preferisca un sapore più dolce si può procedere come per lo sciroppo, mettendo a macero le pigne con lo zucchero, ed aggiungendo anche la grappa. Bere un bicchierino di questa grappa può giovare in caso di tosse, raffreddore, influenza.
Aggiornamento: la prima versione di questa grappa, quella senza zucchero è terribilmente amara, quindi credo che aggiungere lo sciroppo sia fondamentale.

Grappa di Larice: questa ricetta mi è stata donata da Lisa, della Val d'Ultimo,e viene dalla sua famiglia: in un litro di grappa bianca si mettono a macerare 5 fiori rossi di Larice tagliati in quattro. Si lascia il tutto a macerare al sole finché non assume una sfumatura rosso ambrata. A questo punto si aggiungono 2-3 cucchiai di miele, si lascia riposare per qualche settimana e poi si può bere.



Note
(1) Mauro Corona, Le voci del bosco, pag. 106, EBI, 2009.
(2) Su questa benedetta manna di Briançon e sul miele di Larice ci ho speso un bel po’ di tempo ma non sono ancora riuscita a capire la questione. Nei libri che ho consultato, e in internet peggio ancora, non è chiaro se ci sia un solo miele di Larice, se dalla manna si ricavi effettivamente il miele o se si usi pura (ed essendo una sostanza zuccherina ci sta il fraintendimento) ecc. Tutta questa confusione credo ancora una volta sia dovuta al fatto che in Florario di Alfredo Cattabiani (per chi non lo sapesse il libro più citato, scoppiazzato e ricitato in ambito di studi mitologico-folklorici su alberi ed erbe, senza per altro che siano indicate chiaramente ed esaurientemente le fonti da cui il buon Freddy tra le sue notizie) è riportata l’esistenza di questo misterioso “ottimo” miele ricavato dalla manna; peccato che gli apicoltori chiamino il miele di larice miele-cemento poiché cristallizza tanto che è difficile toglierlo dai telaietti…il che non mi farebbe propendere logicamente per chiamare questo miele “ottimo”. Eppure esiste la melata di Larice che essendo melata è prodotta dalle api raccogliendo una sostanza zuccherina che il Larice trasuda quando viene punto da determinati afidi; insomma, la manna non c'entra nulla con questo. Però anche qui alcuni dicono cementifichi, altri la vendono addirittura…che ci sia confusione fra miele e melata? Sicché quello che sono arrivata a pensare io è che esista: questa famosa manna da cui però non si ricava il miele; il miele di Larice che si ricava dai fiori ma cristallizza subito; la melata di Larice che invece si può usare.
Ma molto probabilmente non è così. Il primo apicoltore che pesco nelle mie prossime passeggiate alpine sarà caldamente invitato a rivelarmi qust’arcano, ma se qualcuno dei passanti fosse in grado di risolvere questa annosa questione mi farebbe un grande grande favore! E se siete di quelli che coppiano senza ritegno Cattabiani moltiplicando esponenzialmente la sua mancanza di fonti…eddai, informatevi!
Aggiornamento: non sono riuscita a dirimere la questione ma un ragazzo che ha lavorato presso apicoltori mi ha detto che da loro i melari contenente melata di Larice venivano usati per fare l'Idromele, poiché non si riescono a smielare visto che cristallizza in fretta.

Fonti
Abitare le Alpi
, G. Doglio e G. Unia, Edizioni L’Arciere,1980
Doni di Madre Terra, M. Leone, Araba Fenice, 2010

Guarire con i fiori di Bach, J. Howard e J. Ramsell, Tecniche Nuove, 1994
Le voci del bosco, M. Corona, EBI, 2009

Lo Spirito degli Alberi, F. Hageneder, Ed. Crisalide, 2004
Scoprire, riconoscere, usarele erbe,  U. Boni e G. Patri, Fabbri Editori,1979
Terapia con i fiori di Bach, M. Scheffer, TEA, 2009

Acta Plantarum - Larice
Associazione micologica e botanica - Larice 
Erbe officinali - Larice 
Etimo.it
Larici millenari in Val d'Ultimo
Valli del Natisone - Larice 
Wald Wissen - Utilizzazioni delle foreste a carattere agricolo nel periodo 1800-1950 (a questo indirizzo trovate anche altri due articoli correlati molto interessanti). 

Le foto sono state scattate nei pressi di Quarzina (Ormea) e nella Valle delle Meraviglie. La tavola botanica è di Otto Wilhelm Thomé.

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Ringrazio Luca per l'aiuto sul miele, Alma per la pazienza mentre scrivevo, Laura perché fa quasi paura quanto siamo connesse, di nuovo Alma, Giulietta e Matte per avermi portato in mezzo ai Larici ed aver ascoltato quello che avevo da dire a riguardo ed avermi lasciato ascoltare quello che invece avevano da dire gli alberi, le Aridoe in generale perché è bello condividere con loro ciò che amo, anche se a loro a volte non può fregar di meno. Grazie anche a Michele - l'inviato per le informazioni sulla melata e a Lisa della Val d'Ultimo per la ricetta della grappa ed altre interessanti informazioni.

Vedi anche:  
Illustrazioni botaniche di Larice
Mitologia del Larice
Lo Spirito del Larice

Aggiornato l'ultima volta il 22 Marzo 2015.