lunedì 20 luglio 2015

Illustrazioni botaniche d'Iperico

dal Vienna Dioscurides (Codex Vinindobonensis Medicus Graecus 1 o Codex Aniciae Julianae), 515 d. C. circa, traduzione in latino del De materia medica di Dioscoride con illustrazioni delle piante trattate.

Peganon agrion (Iperico - a destra) dal Dioscurides Neapolitanus (Codex ex Vindobonensis Graecus 1), VI-VII sec. trascrizione in greco del De materia medica di Dioscoride con illustrazioni delle piante trattate.

 Askyron e Androsaimon (due tipi d'Iperico) dal Morgan Dioscurides (Pierpont Morgan Library, MS M. 652), X sec. trascrizione in greco del De materia medica di Dioscoride con illustrazioni delle piante trattate.

Hypericum da un Herbarium dello Pseudo-Apuleio (Ashmole 1462), scritto nel XII sec.

Hypericum (a destra)  in Circa Instans (Sloane 4016), 1440 d. C. circa di Mattheus Platearius.

Iperico (a sinistra) dal Tractatus de herbis (Egerton 747), XV sec. traduzione del Circa instrans di Matthaeus Platearius della Scuola salernitana, a sua volta traduzione del De materia medica di Dioscoride.  

 Forse Hypericum androsaeum dal Manoscritto Voynich, XV sec. circa.

Milles pertuis di Jean Bourdichon da Le Grandes Heures d'Anne de Bretange (Latin 9474), scritto e illustrato fra il 1503 il 1508 per la regina Anna di Bretagna.

S. Johans kraut (Hypericum perforatum) da New Kreüterbuch di Leonhart Fuchs, pubblicato nel 1543.

Iperico ed altri soggetti di Joris Hoefnagel da Mira calligraphiae monumenta di Georg Bocskay, scritto e illustrato fra il 1561 e il 1596.

Vari tipi d'Iperico di illustratore non identificato da Hortus Eystettensis di Basilius Beisler, pubblicato nel 1613.

Vari tipi di Iperico da Phytanthoza iconographia di Johann Wilhelm Weinmann, scritto fra il 1737 e il 1745.

Hypericum perforatum da Flora Danica di Georg Christian Oeder, iniziato nel 1761 e concluso nel 1883. 

Hypericum perforatum da Illustratio systematis sexualis Linnaei di John Miller, pubblicato fra il 1770 e il 1777.

Hypericum perforatum da Flora londinensis di William Curtis, pubblicato fra il 1777 e il 1798.

Hypericum perforatum di J. Zoon da Afbeeldingen der artseny-gewassen met derzelver Nederduitsche en Latynsche beschryvingen di Dirk Leonard Oskamp, pubblicato nel 1796.

Hypericum perforatum di Ferdinand Bernhard Vietz da Icones Plantarum Medico-Oeconomico-Technologicarum, pubblicato nel 1800.

 Hypericum perforatum da British Entomology di John Curtis, pubblicato dal 1823 al 1840.

Milepertuis da Flore médicale di François-Pierre Chaumeton, pubblicato nel 1830.

Hypericum perforatum di George Spratt da Medical Botany di W. Woodville e W. J. Hooker, pubblicato nel 1832.

Hypericum perforatum da da Flora Batava di Jan Kops, nell'edizione del 1836.

Hypericum perforatum da Flora regni borussici di Albert Dietrich, pubblicato fra il 1833 e il 1836.

Hypericum oblongifolium da The garden. An illustrated weekly journal of horticulture in all its branches, pubblicato nel 1886.

Hypericum perforatum da Atlas des plantes de France di Amédée Masclef, pubblicato nel 1890.

Hypericum perforatum da American medicinal plants di Charles F. Millspaugh, pubblicato nel 1892.
Vedi anche:
Pyrra - Unguento d'Iperico
Cautha - Unguento alla Calendula e Iperico
Illustrazioni botaniche di Calendule
Illustrazioni botaniche di Larice
Illustrazioni botaniche di Rosa (parte I)
Illustrazioni botaniche di Rosa (parte II) 

domenica 19 luglio 2015

Alcune varietà d'Iperico

Secondo la tassonomia di S. Pignatti in Flora d'Italia nel nostro paese crescono spontanee una trentina fra specie e subspecie di Hypericum. Alcuni sono in realtà subspontaneei, mentre altri si trovano solo in determinate regioni o solo al Nord o al Sud sono tipici delle Alpi. Diffuso in tutta Italia, ed anche maggiormente utilizzato è l'Hypericum perforatum.


Iperico perforato - Hypericum perforatum
 
Iperico arbustivo - Hypericum androsaeum

Iperico calicino - Hypericum calicinum

 Erba di S. Giovanni di Belleval - Hypericum richeri

Vedi anche:
Iperico
Illustrazioni botaniche d'Iperico
Oleolito d'Iperico
Pyrra - Unguento d'Iperico
Cautha - Unguento alla Calendula e Iperico
Alcune varietà di Violetta

Come pulire la cera

Per varie ricette autoprodotte come creme e unguenti un ingrediente irrinunciabile è la cera d'api, così profumata, dai colori caldi ed assolutamente naturale. La cera forma uno strato protettivo sulla pelle, difendendola dagli agenti esterni quali vento, freddo, acqua, strofinio e a differenza di altri prodotti derivati dal petrolio che svolgono la stessa funzione, è compatibile con la pelle, oltre ad essere comunque più "viva", io direi biocompatibile, e dunque energetica. In più è la materia che costituisce la "casa" delle api, prodotta dalle infaticabili operaie e disposta in forme perfette...e questo a livello simbolico-energetico potrebbe avere la sua influenza su ciò che volete produrre, soprattutto se non lo fate solo a fine puramente "cosmetico" ma anche più "sottile".
Per i cosmetici si usa la cera pura, non miscelata con parafina o altro (quindi per esempio, quella delle candele bianche o colorate che si trovano ai supermercati non va assolutamente bene!), che non sempre è facile trovare, ma potete provare nelle erboristerie, nei negozietti che vendono miele e prodotti locali, oppure direttamente dagli apicoltori, opzione che io preferisco per favorire i piccoli produttori dei dintorni, che tra l'altro la vendono ad un prezzo molto inferiore rispetto alle erboristerie; inoltre la cera assorbe i prodotti con cui le api vengono trattate, quindi fate sempre attenzione alla provenienza della vostra materia prima.
Se qualche vostro amico produce miele ed ha i favi smielati, potete ripulirli da voi facilmente, ottenendo così materiale di qualità a prezzo quasi zero. Io uso questo metodo: in una grande pentola metto una certa quantità d'acqua e le cellette di cera, non importa se molto sporche o con api morte e residui vari. Aspetto che la cera sia ben sciolta e verso il tutto in contenitori di alluminio non rigido (quelli in cui si mettono gli alimenti per trasportarli da un luogo all'altro) facendo passare il liquido in un colino per trattenere la maggior parte delle impurità. A questo punto bisogna solo aspettare che si raffreddi: la cera è più leggera dell'acqua, quindi si solidificherà in superficie, mentre le scorie andranno a depositarsi sul fondo. Tuttavia un minimo di impurità resteranno nella cera, quindi può essere utile ripetere l'operazione.
Io personalmente faccio solidificare poca cera per volta, in modo che da fredda crei uno strato che si possa rompere agevolmente con le mani. Questo perché per pesare e sciogliere la cera al momento di creare creme e unguenti, è più agevole averla divisa in piccoli pezzi piuttosto che in grandi blocchi, anche perché è piuttosto dura da tagliare.


Sempre per questo motivo se siete riusciti a trovare solo un blocco infrangibile di cera, basterà scioglierla a bagnomaria (senza acqua, a meno che non contenga ancora qualche impurità) e versarla in strati sottili su un foglio di carta da forno. Una volta solidificata si potrà spezzettare e conservare in scaglie.


Se comunque per qualche motivo preferite avere un panetto intero, basta versare la cera pulita in un contenitore oliato, in modo che una volta solidificata si possa estrarre agevolmente. Fate attenzione al fatto che se lasciate il contenitore cosparso d'olio a lungo, questo tende a concentrarsi sul fondo e le pareti potrebbero rimanere troppo poco unte e la cera potrebbe attaccarsi; conviene fare quest'operazione all'ultimo momento.

Riguardo agli attrezzi
Io personalmente uso una pentola deputata solo a questo scopo, ma può andar bene una qualsiasi pentola d'acciaio a patto che poi venga ben pulita da tutti i possibili residui di cera. Per mescolare si può usare un comune cucchiaio d'acciaio, assolutamente non di legno o plastica. Per filtrare serve un colino d'acciaio a maglie fini; considerate però che se il liquido ci mette troppo a scendere, la cera solidifica nel colino e bisogna riscioglierla. Un buon compromesso potrebbe essere, utilizzare in un primo tempo quello a maglie larghe per raccogliere la maggior parte delle impurità, e al secondo giro quello a maglie fini.
I contenitori di alluminio possono essere riutilizzati all'infinito, ed è meglio prediligere quelli larghi (ma non troppo bassi per ovvie ragioni) in modo che il contenuto si raffreddi prima e lo strato di cera sia più sottile.
Per pulire dalla cera l'unico modo efficace che ho trovato è scaldarla e rimuoverla con della carta, quindi è assolutamente fondamentale che operiate con oggetti di metallo e dunque scaldabili senza danni sul fuoco. Sicché premunitevi! Coprite il piano di lavoro con carta di giornale o da forno se non volete incappare nelle ire di parenti e coinquilini. Ma ve lo dico, in qualsiasi caso vi cadranno gocce di cera dove non devono; un trucco per ripulirle è scaldarle con l'accendigas e poi passare della carta.


Buona fortuna con le vostre sperimentazioni, e se trovate soluzioni più agevoli o modifiche e consigli utili...scrivete!

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Grazie a Luca di Apicosco per avermi dato la possibilità di sperimentare con la cera delle sue api.

Iperico

Fa parte della famiglia delle Hypericaceae, ed il nome botanico è Hypericum perforatum. Il termine Hypericum giù usato da Galeno e Plinio viene dal greco hypericon, presente nell'opera di Dioscoride. Le etimologie proposte sono varie: hyper "sopra" + eikon "immagine, simulacro, fantasma, sembianza" probabilmente nel senso che l'Iperico è in grado di cacciare le ombre gli spiriti (e a ciò s'accordano molti nomi popolari ancora oggi in uso) mentre altri sostengono che veniva usato per decorare le immagini sacre; Linneo proponeva hyper + eikov da eoika "essere simile, assomigliare, sembrare" ma non chiariva in riferimento a cosa; hyper + ereike "Erica" perché secondo alcuni cresce in prossimità dell'Erica o comunque nello stesso ambiente; io non posso fare a meno di notare invece che il verbo ereiko significa "squarciare, fendere, lacerare" e che questi significati si adattano particolarmente alla nostra erba dotata di piccole "fenditure" sulle foglie, come sottolineano anche il nome specifico perforatum "perforato" ed alcuni nomi dialettali e popolari.
L'Hypericum perforatum è il più diffuso, usato e conosciuto, ma in Italia ne esistono vari spontanei o importanti, alcuni usati per bordure e aiuole e molti presenti sui rilievi; tuttavia qui d'ora in poi parlando di Iperico si intenderà il perforatum.
Nomi popolari: Erba di S. Giovanni, Scaccia diau (Liguria), Trafourello, Erba rus, Millepertui, Erba d'la feu, Erba d'la tajna (Piemonte), Erba cassa diaol (Lombardia), Ossi de grillo, Parforata (Veneto), Erba d'San Zvan, Erba de tai (Emilia Romagna), Pilastro, Cacciadiavoli (Toscana), Erba per le scottature (Abruzzo), Pilastro (Lazio), Rotolaviento, Funnulu (Puglia), Pirfuliata, Brunnulidda, Pirico (Sicilia), Pirinconi, Erba de piricoccu (Sardegna).
In Inglese si chiama Saint John's wort, Tuch and heal, Rosin rose, Chase-devil, Klamath weed; in Francese Millepertuis perforé, Herbe de la Saint-Jean, Chasse-diable, Herbe aux fées; in tedesco Echte Johanniskraut, Blutkraut; in spagnolo Yerba de S. Juan, Corazoncillo.



Descrizione: pianta erbacea perenne con un corto rizoma da cui spuntano numerosi fusti cilintrici glabri a volte arrossati, percorsi per tutta la loro lunghezza da due linee laterali, alti fino a un metro, lignificati e ramificati in alto.
Le foglie ovali-ellittiche sono opposte, sessili o con brevi peduncoli, più piccole sulle ramificazioni di colore verde chiaro; se guardate in contro luce presentano alcuni punti più chiari costituiti da ghiandole alle quali la pianta deve il nome perforatum, sul bordo invece si possono notare ghiandole di colore scuro. I fiori sono giallo-dorati con cinque sepali verdi lanceolati, cinque petali asimmetrici che possono presentare puntini scuri e molti stami, raccolti in corimbri apicali ramificati. I frutti sono capsule ovali rossastre che giunte a maturità si aprono in tre parti e lasciano uscire i piccoli semi cilindrici e bruno-rossicci.

Habitat: originario dell'Europa, cresce dal mare alla montagna fino a 1600 m slm,  nei luoghi secchi, nelle radure, nei prati e al bordo delle strade, preferibilmente su terreni calcarei. Sulle Alpi viene affiancato da altre varietà.

Coltivazione: è una pianta talmente comune che sarebbe superfluo comprarla (ma non è neanche molto comune nei vivai). I semi si seminano ben maturi in autunno o in primavera, è una pianta che ha bisogno di molto sole e di un terreno permeabile, ma a parte questo è molto rustica e resistente, teme solo i ristagni d'acqua; si propaga da sola facilmente. Nell'orto può essere piantata vicino a piante dai fiori blu o azzurri per creare contrasto, come la Lavanda e l'Issopo che tra l'altro hanno le stesse esigenze di sole e terreno.

La droga è costituita dalle sommità fiorite che si raccolgono solitamente fra giugno e agosto, al mattino dopo che la rugiada si è asciugata e quando la maggior parte dei fiori sono aperti ma non sfioriti, meglio se in Luna crescente nei giorni del fiore (Gemelli, Bilancia, Acquario). Secondo alcune tradizioni popolari tuttavia, l'Iperico andrebbe raccolto nella notte che precede S. Giovanni (24 giugno) meglio se a mezzanotte, nel Giorno di S. Giovanni a mezzogiorno e via dicendo, con modalità e indicazioni diverse in ogni luogo.
Solitamente si usa fresco, ma può essere seccato in mazzetti appesi in luogo aerato all'ombra, o disposto in strati sottili. Si conserva al riparo dalla luce in barattoli di vetro ben chiusi.

Utilizzi
Come sempre prendete ciò che segue per una ricerca, sperimentata solo in parte, e prima di utilizzare qualsiasi erba assicuratevi che sia quella giusta, che sia lontana da strade e fonti di inquinamento, verificate di non essere allergici o ipersensibili a qualche componente e prima di fare qualsiasi cosa consultate il vostro medico/omeopata/erborista.
L'Iperico ha proprietà aromatizzanti, digestive, cardiotoniche, antispasmodiche, ansiolitiche, antidepressive, sedative, antivirali (AIDS e Herpes simplex), astringenti, antiinfiammatorie, cicatrizzanti, analgesiche, antisettiche.
ATTENZIONE: benché l'Iperico sia una pianta essenzialmente sicura, ne sia testimone il fatto che viene usata senza problemi da millenni, potrebbe avere interazione con farmaci assorbiti a livello epatico, per la cura dell'HIV, contraccetivi orali, antidepressivi, barbiturici, regolatori della pressione, anticoagulanti, ed è meglio evitarlo durante la gravidanza non essendoci studi estesi a riguardo. Riguardo alla sua proprietà fotosensibilizzante vedi nota finale.

Erba fresca: per lenire il dolore ed in prurito dati da punture d'insetti si può sminuzzare qualche fiore e foglia di Iperico e applicare localmente.

Infuso: 1 g di sommità fiorite di Iperico in 100 ml di acqua, se ne bevono due tazze al giorno per aiutare la digestione e regolare la pressione alta. Serve anche per sedare la tosse con catarro, l'asma e la bronchite e si beve in caso di cistite anche cronica per disinfettare le vie urinarie, inoltre giova alla digestione e al fegato. Soprattutto negli ultimi anni gli si sono riconosciute proprietà antidepressive, tratto particolarmente utile poiché l'efficacia è pari a quella degli antidepressivi convenzionali ma non presenta effetti collaterali, ed è dunque adatto per i problemi della menopausa, per l'enuresi notturna dei bambini (magari unito alla Valeriana), per l'ansia e secondo alcuni anche per i dolori mestruali (associabile ad altre erbe sinergiche come Achillea, Artemisia, Calendula, Camomilla), dunque in generale per tutti i malesseri con un'origine nervosa.
Un infuso più concentrato (5 g in 100 ml) lasciato raffreddare può essere usato per impacchi e sciacqui su piaghe, piccole ferite, bruciature, eritemi solari in mancanza d'altro, aiuterà a pulire, ciccatrizzare e disinfiammare la zona. Si può usare anche puro o come ingrediente di maschere per il viso essendo astringente e eudermico, ridona splendore alle pelli senescenti

Oleolito: è il più usato e celebre modo d'utilizzo delle grandi proprietà dell'Iperico. Le ricette sono moltissime, e molte sono influenzate anche dal folklore che circonda la nostra solare piantina, quindi si possono trovare indicazioni anche contrastanti. Il metodo che utilizzo io, ed alcune considerazioni in merito le trovate qui: Oleolito d'Iperico
Si usa su bruciature solari e non, irritazioni, punture d'insetto, piaghe e piccole ferite in via di guarigione per favorire la cicatrizzazione (dunque quando si è già formata la crosta), eritemi solari, geloni, orticaria, herpes (insieme all'olio essenziale di Melissa). Usato per massaggiare lenisce le contratture muscolari, le infiammazioni dei tendini, i reumatismi, le slogature, la sciatica, l'artrite e usato sulla parte interessata cura le emorroidi (per tutti questi usi che richiedono di calmare il dolore si può associare a Arnica e gemme di Pioppo). Inoltre giova alle pelli secche, screpolate, atoniche, magari unendolo a Camomilla, Calendula, Lavanda o fiori di Tiglio. Può entrare come ingrediente nella formulazione di creme autoprodotte per il corpo ed altri cosmetici.
Per lenire l'ulcera gastrica e la gastrite se ne può prendere una piccola quantità a stomaco vuoto e lontano dai pasti.

Unguento: l'unguento si prepara sciogliendo a bagnomaria una parte di cera e fra le 5 e le 7 parti di oleolito d'Iperico (es. 10 g di cera e fra i 50 e i 60 g di olio), poi si versa in barattolini di vetro e si lascia raffreddare. Questa ricca crema dal colore rosso intenso, conserva tutte le proprietà dall'oleolito e si può usare nello stesso modo, ma è più pratica da portare in giro ed applicare.

Vino medicato: si mettono 30 g di sommità fiorite secche in un litro di vino bianco e si lascia macerare il tutto per 10 giorni. Filtrato, si beve prima dei pasti per stimolare e aiutare la digestione. A tale scopo si può associare anche qualche rametto di Rosmarino.

Tintura: si prepara con le sommità fiorite fresche, io ho sperimentato il rapporto 1:2 e 1:5 con alcol a 60-65° (se usate l'erba intera il solvente non basterà a per coprirla, bisogna sminuzzarla). Si assume per migliorare la digestione e in caso di malattie epatiche, anche virali, è inoltre ipotensiva e antispasmodica, si usa in caso di depressioni lievi, sindrome premestruale e da menopausa, impotenza data da motivi nervosi e in generale in varie situazioni in cui si presentano ansia, paura, tristezza, agitazione. Va però assunta solo su consiglio medico.

Ricette culinarie
L'Iperico trova impiego principalmente come ingredienti di grappe e liquori, aggiungerne qualche rametto alle varie preparazioni dona loro un leggero color rosa-rosso. Nelle zone di montagna a volte si usava l'erba essiccata come succedaneo del the.

Ratafià all'Iperico: questa ricetta francese raccolta da Fleury de la Roche si prepara mettendo in infusione in un litro di acquavite o grappa 15 g di fiori di Iperico e un Limone (chiaramente non tratto) tagliato a pezzi per 15 giorni. Trascorso questo periodo si aggiunge zucchero a piacere. La ricetta riportata in Liquori - Grappe gelatine marmellate con erbe e frutti spontanei prevede 200 g circa. Questa grappa aperitiva e digestiva si può bere prima o dopo i pasti per stimolare la digestione.

Vino all'Iperico: in un litro di vino bianco secco si fanno macerare per una settimana 15 g di sommità fiorite d'Iperico. Trascorso il tempo si filtra e si possono aggiungere a piacere 100 g di zucchero (ricetta tratta e adattata da Liquori - Grappe gelatine marmellate con erbe e frutti spontanei).


Nota finale: in molti studi e ricerche che si possono leggere in internet si dice che l'Iperico è fotosensibilizzante, ovvero rende la pelle più sensibile ai raggi solari, dunque bisognerebbe evitare l'esposizione d'urante l'uso di preparati all'Iperico, tuttavia, in almeno due fonti (Scoprire, riconoscere usare le erbe e Dizionario di fitoterapia e piante medicinali) si dice che al contrario l'Iperico è un ottimo prodotto non solo come dopo sole, ma anche come solare, in quanto stimola la produzione di melanina e filtra i raggi luminosi. Entrambe queste fonti sono per me particolarmente affidabili e serie, tuttavia anch'io ho sentito affermare più volte il contrario, e non sono ancora riuscita a capire dove stia la verità; nel libro della Campanini si dice che l'azione fotosensibilizzante, comunque piuttosto rara si ha solo a dosaggi altissimi, e su animali a pelo chiaro o persone con la pelle molto chiara e giù sensibile al sole, sicché credo si possa dedurre che a dosaggi terapeutici non si incappi in alcun problema. Interessanti a riguardo anche i vari approfondimenti in Infoerbe.it In qualsiasi caso chiunque ne sappia qualcosa in più, mi farebbe un grande piacere a indicarmi fonti e studi a riguardo!
Fonti
Cento erbe della salute, M. L. Colombo, G. Appendino, R. Luciano, C. Gatti, Araba Fenice, 2010
Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, E. Campanini, Tecniche Nuove, 2004 
Doni di Madre Terra, M. Leone, Araba Fenice, 2010
Enciclopedia delle erbe, R. Mabey, Zanichelli, 1994
Erbe delle valli alpine, M. Vaglio, Priuli & Verlucca, 2014
Erbe medicinali, G. Ricaldone, Editrice Il Portichetto, 1981
Il libro delle erbe, P. Leiutaghi, Rizzoli Editore, 1981
Le erbe nostre amiche voll. 2 e 3, D. Manta e D. Semolli, Edizioni Ferni, 1976
Liquori - Grappe gelatine marmellate con erbe e frutti spontanei, R. Luciano e R. Salvo, Araba Fenice, 2013
Orto e giardino biologico, M. L. Kreuter, Giunti Editore, 2011
Scoprire, riconoscere, usare le erbe, U. Boni e G. Patri, Fabbri Editore, 1979
Tutto erbe, A. Poletti, Editrice Erpi, 1980
Vocabolario della lingua greca, F. Montanari, Loescher, 2009
Actaplantarum.com - Hypericum perforatum
Infoerbe.it - Iperico


Immagini: foto scattate a Quarzina (CN) nel giugno e luglio 2015 e a Spotorno (SV) nel maggio 2015, tavola botanica tratta da Atlas des plantes de France di A. Masclef, 1890.

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Alcune varietà d'Iperico
Illustrazioni botaniche d'Iperico
Oleolito d'Iperico
Pyrra - Unguento d'Iperico
Cautha - Unguento alla Calendula e Iperico

venerdì 26 giugno 2015

Storia dell'Achillea

La nostra storia procede di pari passo con quella delle erbe da sempre, e l'Achillea non fa eccezione: studi moderni hanno rilevato tracce di Achillea e Camomilla fra i denti di Neanderthal vissuti 50.000 anni fa, e dato il gusto amaro, sembra improbabile che le usassero come cibo, ma piuttosto già allora doveva essere in qualche maniera conosciuta la loro capacità curativa. Ma vediamo le fonti scritte che nel corso dei secoli hanno tramandato l'uso dell'Achillea.

Antichità classica
Il nome greco della nostra Achillea è achilleos, che, come d'altronde l'italiano, fa riferimento al grande eroe dell'Iliade. Plinio il Vecchio ci informa del perché di questa denominazione: "si dice che Achille, discepolo di Chirone, scoprì un’erba con la quale guarire dalle ferite - la quale da ciò è chiamata achilleos – e curò Telefo." (1) Si riferisce ad episodio secondario della guerra di Troia: gli achei, salpati verso la Troade, erano invece arrivati in Misia, dove Telefo era re, e si erano dati al saccheggio. Ne seguì un'aspra battaglia durante la quale Telefo venne ferito da Achille, e secondo un oracolo, solo da lui avrebbe potuto essere curato, in alcune versioni grazie alla ruggine della sua lancia, secondo altri invece, proprio dall'Achillea. E questa sua capacità di curare le ferite, ricordata fin dai primordi e confermata da studi moderni, sta alla base di molte sue denominazioni antiche e moderne, come vedremo.
Le più antiche fonti erboristiche che ci parlano dell'Achillea sono Dioscoride, che scrisse la sua opera in greco, e Plinio, latino, entrambi vissuto nel I sec d. C. In entrambi i casi tuttavia, c'è una certa confusione fra diverse piante e molteplici nomi. Dioscoride scrive: "alcuni chiamano l’Achillea sideritin. Porta ramoscelli lunghi una spanna o più, a forma di fuso, lungo questi il fogliame è composto di piccole parti, finemente inciso sui lati, simile al Coriandolo, è amarognola, apiccicaticcia, molto odorosa, non sgradevole, curativa nel profumo, le cime portano un’ombrella rotonda, dal fiore bianco o purpureo o dorato. Cresce nei luogi fertili: e la chioma tritata è ciccatrizzante e disinfiammante del sangue, ferma le emorragie, anche quelle dell’utero se applicata al suo interno. E il decotto è adatto come semicupio per le affette dai flussi, si beve per la dissenteria."(2)
Altri nomi riportati per l'achilleos da Dioscoride sono myriomorphon “dalle mille forme”, chiliophyllon “millefoglie”, stratiotikon “del soldato”, sideritin “ferrosa”, Herakleion "Eracleia" cioè "pianta di Eracle", e dice che i Romani la chiamavano souperkilioum beneris "sopracciglio di Venere", koriandroum silbaticoum "Coriandolo selvatico", militarem "del soldato", millefolioum "millefoglio".
Tuttavia, in alcuni dei manoscritti illustrati che riportano il De materia medica, l'opera di Dioscoride, come il Dioscoride neapulitanus (VI-VII sec.) la voce Achilleos, seguita dal testo citato, è corredata da un'immagine che rappresenta una pianta che chiaramente non è la nostra Achillea. Visto però il lungo tempo trascorso fra la prima redazione dell'opera e le copie a noi pervenute, facilmente potrebbe esserci stato uno slittamento fra la pianta che Dioscoride intendeva descrivere e quella rappresententata, tenendo anche conto del fatto che ai tempi non esistevano denominazioni univoche per indicare senza ombra di dubbio un'erba. Tra l'altro Dioscoride stesso descrive ben altre tre piante che chiama sideritin, ed un'altra detta stratiotes chiliophyllon.
Plinio non ci semplifica le cose, poiché dopo aver chiarito il legame con Achille prosegue: "alcuni la chiamano panacea Hearclea, altri sideritin e presso di noi è detta millefoglia; ha il fusto lungo un cubito, ramificato, rivestito dalla base alla cima di foglie più piccole di quelle del Finocchio.”(1) Nel passo seguente però, specifica che secondo altri autori la pianta appena descritta non è il vero achilleos, ed altrove parla di un'altra pianta detta panacea Heraclea, e di diverse erbe che condividono il nome sideritin. Ed inoltre: "il myriophyllon, che i nostri [i Romami] chiamano millefoglio, ha gli steli teneri, simili al finocchio, con molte foglie, dalle quali prende il nome. Nasce nelle paludi [...] in Entruria questo nome indica un’esile erba dei prati, con le foglie [sottili] come capelli, usata eccellentemente per le ferite, e affermano che unita con sugna riunisca i nervi del bue tagliati con l’aratro”(3)
In questo caso, probabilmente la nostra pianta è quella degli Etruschi, e non il myriophyllon, poiché l'Achillea non cresce nei luoghi paludosi.
Galeno, autore di lingua greca di varie opere mediche del II sec. d. C. parla dell’Achillea alla voce sideritin: "alcuni chiamano l’achilleos sideritin, per aver virtù simili, per quanto essa sia ancora più astringente. Perciò per ristagnare il sangue, la diarrea ed il flusso delle donne, è molto efficace."(4)
Vediamo dunque che i principali nomi dell'Achillea, sia in greco che in latino, si possono divedere in due gruppi principali: i primi sono ispirati alle sue proprietà di curare le ferite da taglio, perciò è detta sideritin, stratiotikon, stratiotes, militarem, e forse a questa sua dote sono dovuti anche i richiami ad Achille ed Eracle, i guerrieri per eccellenza. I secondi si riferiscono alla forma della pianta, come chiliophyllon, myriophyllon, myriomorphon, millefolium e i raffronti con il Coriandolo ed il Finocchio. Resta fuori la denominazione "Sopracciglio di Venere", che potrebbe comunque riferirsi alla forma della foglia, che effettivamente potrebbe essere paragonata alle sopracciglia.
Per quanto riguarda l'uso medico, vediamo che c'è una certa uniformità, e che viene considerata principalmente un'erba vulneraria e astringente, quindi adatta a fermare emoragie, dissenteria, flussi sanguinei.

Medioevo
Oltre ai testi classici già citati, nel medioevo aveva grande importanza l'erbario dello Pseudo-Apuleio, scritto nel IV sec. d. C, basato fra gli altri su Plinio e Dioscoride, e tramandatoci in vari manoscritti di diversa ampiezza. L'Achillea non si trova in tutte le sue diverse copie, ma laddove è presente il testo è pressapoco il seguente: "Erba Millefoglio. Per il dolore ai denti: si mastichi a digiuno radice di Millefoglio. Per le ferite da taglio: il Millefoglio pestato con grasso posto sulle ferite le pulisce e risana. Per i tumori: s'impone Millefoglio contuso con burro. Per la difficoltà dell’urina: si beva succo di Millefoglio con aceto, cura meravigliosamente. Nomi: dai greci è detta miriofillo, ambrosiam, cilliofillon, crisitis [...] dagli Itali é detta millefolium, militaris, Achillion, supercilium Veneris, cereum silvaticum" e conclude riportando l'aneddoto della cura di Telefo da parte di Achille e la descrizione della pianta di Dioscoride. Notiamo una denominazione non ancora trovata fin'ora: ambrosiam. Essa ricompare in testi medievali come l'Hortulus e se per alcuni è l'Achillea, per altri è un tipo di Artemisia.
Alle tradizionali proprietà dell'Achillea già rilevate, si sommano quelle di curare il mal di denti, i tumori, le difficoltà urinarie, e ciò si può trovare anche in alcuni testi medici Anglo-Sassoni, come il Bald's leechbook del IX sec. Qui l'Achillea è detta Gearwe, Gaeruwe, Gearwan, Garwe e si mastica per il dolore ai denti, si fa bollire nel vino insieme alla Piantaggine quando non si riesce ad unirnare, si beve infusa nell'aceto per la digestione e i problemi alla vescica, ma soprattutto la si trova in ricette per unguenti da applicare su ferite e bruciature. Un esempio di balsamo per le ferite: pesta bene con del burro Achillea, Gittaione, Semprevivo ed in ultimo Podagaria, stendile per una notte così contuse, poi metti il tutto in un panno, bolli bene, togli la schiuma, strizza, aggiungi sale bianco, mescola bene finché non si consolida.
Per curare la tosse si beve latte in cui siano state bollite Edera terrestre, Achillea e Lamio purpureo; per la vista annebbiata si mischiano succo di Betonica, Achillea e Chelidonia in eguali parti e si applica il composto sugli occhi, oppure si bollono nel latte Veronica beccabunga, Achillea e Cerfoglio selvatico.
Ma in questo interessantissimo libro possiamo trovare anche particolarissime e inconsuete indicazioni, come la seguente: "Una bevanda per una persona malata per la possessione di un demone, da bere dalla campana di una chiesa; Gittaione, Cinoglossa, Achillea, Lupini, Betonica, Morella, Cassock, Iris, Finocchio, Lichene di chiesa, Lichene del marchio di Cristo, Levistico; prepara la bevanda in birra chiara, canta sette messe sulle erbe, aggiungi aglio e acqua benedetta, e gocciola la bevanta in ogni cosa che [il malato] berrà, e fagli cantare il salmo, Beati immaculati [...] e poi fagli bere la bevanda dalla campana di una chiesa, e dopo il sacerdote canti su di lui Domine, sancte pater omnipotens." (5)
Od ancora: "Prepara così una buona bevanda contro tutte le tentazioni del diavolo. Prendi Betonica, Nigella, Lupini, Gittaione, Morella, Cardo dei lanaioli, Achillea; stendile sotto all'altare, canta nove messe su di esse, segnale con acqua santa, danne una tazza piena a digiuno di notte..." (5)
Nel Circa Instans, trattato della Scuola salernitana del XII secolo, giuntoci in varie forme in una ventina di manoscritti e basato su Dioscoride e lo Pseudo-Apuleio, si trovano anche nuove erbe mai trattate negli erbari precedenti; per l'Achillea, a lato dell'immagine, sono dati i seguenti nominativi: Millefolium, Ambroxia, Ventu Apiu, Furmicularis, Achilles, Militaris, mentre le indicazioni mediche sono quelle tradizionali già ripotate.

Epoche successive
Nel Libro rosso di Hergest del XIV sec. che riporta fra gli altri alcuni raccolti della mitologia gallese ed arturiana, sono contenuti anche alcuni testi medici dei così detti physiscians di Myddvai, i cui discendenti hanno continuato a curare fino alle soglie dell'epoca moderna. In questi scritti l'Achillea è usata per curare la febbre, i problemi urinari, i vermi, il sanguinamento dal naso, il vomito, il dolore al seno, le ferite.
Nel Libro di Howel Vedygg, redatto intorno al XVII sec. da questo discendente dei physiscian of Myddvai, l'Achillea rientra nelle ricette per curare la febbre, i problemi urinari, vomito di sangue bollita in latte o vino, per i vermi macerata nel vino, per fermare il sanguinamento dal naso pestata con aceto, macerata in vino caldo per fermare il vomito.
Nel Libro dei segreti di Alberto Magno (attribuito a lui ma non sua opera), del XVI sec. si può leggere "colui che porta quest'erba [l'Ortica] in mano, con un erba chiamata Milfoil, o Yarrow, o Nosbleed, è al sicuro da qualsiasi paura e fantasia, o visione." (6)
Sempre nel XVI secolo troviamo le opere di Pietro Andre Matthioli e Castore Durante sulle erbe, scritte in italiano ma tradotte e conosciute in buona parte dell'Europa, che però sull'Achillea non aggiungo nulla alle conoscienze tramandate dai classici.


Note
(1) Plinio, Naturalis historia, XXV, 19.
(2) Dioscoride, De materia medica, IV, 36, 1. Parla anche dell'ageraton (Achillea ageraton) in IV, 58,1; e della ptarmiké (Achillea ptarmica) in II, 162, 1.
(3) Plinio, Naturalis historia, XIV, 95.
(4) Galeno, De simplicium medicamentorum facultatibus, XIII (pag. 521)
(5) Bald's leechbook, I, 63 e III, 41.
(6) Libro dei segreti di Alberto Magno citato in Old english herbals di Eleanour Sinclair Rohde, pag. 64.

Fonti antiche
Dioscoride, De materia medica
Plinio, Naturalis historia
Galeno, De simplicium medicamentorum facultatibus
Libro rosso di Hergest
Matthioli, I discorsi sulla materia medica di Pedracio Anazarbeo Dioscoride
Durante, Herbario novo
Pseudo-Apuleio, Herbarium
Walafrid Strabo, Hortulus
Circa instans
Bald's leechbook


Fonti moderne
Flora pomepiana, A. Ciarallo
Old english herbals, E. Sinclair Rohde
Neanderthal medics? Evidence for food, coocking, and medicinal plants entrapped in dental calculus
Neanderthals ate their greens

Le traduzioni da greco, latino e inglese sono mie, mi scuso fin d'ora per gli errori che sicuramente avrò fatto.

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Vedi anche:
Achillea
Alcune varietà di Achillea 
Illustrazioni botaniche di Achillea
Mitologia dell'Achillea
Unguento vulnerario di Achillea e Melissa
Dioscoride
Plinio il Vecchio
Pietro Andrea Matthioli