Nomi popolari: Larxu,
Mele, Boasch ross (Liguria), Malesso, Malezo, Bregola, Laras (Piemonte), Lares, Aras
(Lombardia), Arese, Larese (Veneto), Laris (Emilia), Abeto larice (Toscana).
Inglese Larch, Francese
Mélèze, Tedesco Lärche
(sostantivo femminile così come in Bulgaro e Rumeno).
Descrizione: Il Larice è un albero a rapido accrescimento che può raggiungere il 30-40 m di altezza, la forma è quella tipica delle conifere, con una chioma rada e leggera che lascia passare la luce fin sul terreno. Il tronco è solitamente dritto e slanciato, quando però cresce solitario oltre i limiti estremi dei boschi e più esposto al vento e alla neve, il fusto può divenire contorto e massiccio.
Fiori maschili |
Fiori femminili |
Vive facilmente per centinaia di anni, ed in Alto Adige si trovano alcuni esemplari che sembrano essere millenari.
Habitat: originario
dell’Europa, in Italia cresce sulle Alpi dai 1000 agli oltre 2000, a volte però
si può trovare anche coltivato sull’Appennino. Predilige terreni sciolti e
privi di ristagno di acqua, anche poveri. Può formare boschi puri (lariceti)
benché non siano molto frequenti, ed in questo caso la foresta è luminosa e
ariosa ed il sottobosco ricco di muschi, mirtilli, uva ursina ecc. oppure
insieme ad Abete rosso e Pino cembro o mugo costituisce l’estrema frontiera
prima delle praterie alpine; spesso però si trovano esemplari solitari a
guardia di prati e ghiaioni laddove le foreste cedono il posto alle distese
erbose e ai picchi rocciosi. Resiste ai climi rigidi tipici della montagna e
alle nevicate abbondanti, e sopravvive anche in terreni poveri che contribuisce
ad arricchire (è una specie pioniera, cioè colonizza i territori poveri dove
altre essenze non riuscirebbero a vivere e li arricchisce, permettendo un
futuro instaurarsi di altri alberi) ma ama la luce ed ha bisogno di sole per
svilupparsi.
Ai suoi piedi cresce in simbiosi il Boleto del larice o Laricino (Boletus elegans), un fungo commestibile, mentre sul tronco si possono trovare l’Agarico del larice (Polyporus officinalis) e una certa varietà di licheni; in Austria e Alto Adige può ospitare il Vischio e fra i suoi rami trovano dimora e ricetto la Civetta, il Picchio ed in particolare il Crociere (Loxia curvirostra) che si nutre dei suoi semi. Altre specie di Larice si trovano in America del Nord, Siberia, Cina, Giappone.
La droga è costituita dalla resina, una sostanza viscosa ma liquida, trasparente, di colore bianco-giallo e dal caratteristico odore balsamico. Si raccoglie in autunno dalle fessure naturali delle corteccia o da fori praticati a primavera; si filtra e si conserva in contenitori di vetro. Tuttavia non c'è più quasi nessuno che si occupa di questa raccolta, è uno di quei saperi che sarebbe bello e utile reimparare e tramandare perché sopravvivano. Alcune gocce si possono trovare anche sulla corteccia, soprattutto laddove l’albero è stato in qualche maniera lesionato.
Utilizzi
Come sempre prendete ciò che segue per una ricerca, sperimentata solo in parte, e prima di utilizzare qualsiasi erba assicuratevi che sia quella giusta, che sia lontana da strade e fonti di inquinamento, verificate di non essere allergici o ipersensibili a qualche componente e prima di fare qualsiasi cosa consultate il vostro medico/omeopata/erborista. ATTENZIONE: l’uso interno è sconsigliato in quanto imprecisioni nel dosaggio possono causare effetti collaterali, le informazioni che seguono sono a scopo documentativo e informativo.
Proprietà: anticatarrali, tossifughe, espettoranti, diuretiche e per uso esterno rubefacenti, purificanti, antisettiche, antireumatiche.
Ai suoi piedi cresce in simbiosi il Boleto del larice o Laricino (Boletus elegans), un fungo commestibile, mentre sul tronco si possono trovare l’Agarico del larice (Polyporus officinalis) e una certa varietà di licheni; in Austria e Alto Adige può ospitare il Vischio e fra i suoi rami trovano dimora e ricetto la Civetta, il Picchio ed in particolare il Crociere (Loxia curvirostra) che si nutre dei suoi semi. Altre specie di Larice si trovano in America del Nord, Siberia, Cina, Giappone.
La droga è costituita dalla resina, una sostanza viscosa ma liquida, trasparente, di colore bianco-giallo e dal caratteristico odore balsamico. Si raccoglie in autunno dalle fessure naturali delle corteccia o da fori praticati a primavera; si filtra e si conserva in contenitori di vetro. Tuttavia non c'è più quasi nessuno che si occupa di questa raccolta, è uno di quei saperi che sarebbe bello e utile reimparare e tramandare perché sopravvivano. Alcune gocce si possono trovare anche sulla corteccia, soprattutto laddove l’albero è stato in qualche maniera lesionato.
Come sempre prendete ciò che segue per una ricerca, sperimentata solo in parte, e prima di utilizzare qualsiasi erba assicuratevi che sia quella giusta, che sia lontana da strade e fonti di inquinamento, verificate di non essere allergici o ipersensibili a qualche componente e prima di fare qualsiasi cosa consultate il vostro medico/omeopata/erborista. ATTENZIONE: l’uso interno è sconsigliato in quanto imprecisioni nel dosaggio possono causare effetti collaterali, le informazioni che seguono sono a scopo documentativo e informativo.
Proprietà: anticatarrali, tossifughe, espettoranti, diuretiche e per uso esterno rubefacenti, purificanti, antisettiche, antireumatiche.
Vapori: per calmare la tosse e liberare le vie respiratorie può essere utile gettare una piccola quantità di resina in un pentolino di acqua bollente e respirarne i vapori. In egual maniera si può usare l’olio essenziale estratto dalla resina stessa (benché sia un’essenza piuttosto rara, che si può trovare di solito solo in Svizzera, Austria, Alto Adige) magari in associazione all’olio essenziale di Eucalipto o Pino. Questi vapori servono anche per purificare e rinfrescare l’aria delle stanze dei malati, e per lo stesso fine si può mettere qualche goccia di essenza nel brucia-essenze, eventualmente aggiungendo anche il Tea tree.
Questa linfa profumata è anche diuretica, sicché può giovare in caso di cistiti e uretriti (ma in dosi eccessive irrita i reni, quindi sarebbe più saggio affidarsi a erbe meno pericolose).
Unguento: sempre con la resina si poteva creare un unguento utile per rimuovere le spine di legno, pulire le piccole ferite, aiutare la ciccatrizzazione e lenire i dolori reumatici, oltre che come balsamo da applicare sul petto in caso di tosse e catarro, ma non sono riuscita a trovare da nessuna parte una ricetta, anche perché queste spesso erano tramandate per generazioni all'interno di poche famiglie. Sicuramente qualche abitante della montagna sa ancora come si fa, ma tirando a indovinare visto che di base gli unguenti si preparano con cera e olio o un grasso animale come strutto o sugna o burro, si potrebbe provare a riprodurlo; se mai riucirò a procurarmi della resina vi farò sapere com'è andato l'esperimento. Se poi qualche lettore fosse a conoscenza di questa preziosa ricetta e volesse condividerla mi scriva!
Dalla lavorazione della resina si
ottengono la trementina di Venezia (che ne era la principale commerciante),
acquaragia e pece usate fin dall’epoca romana per conciare la pelle, rendere
impermeabili i tessuti e il legno delle barche, sigillare le botti.
Inoltre, gli aghi possono essere aggiunti all’acqua del bagno per calmare i reumatismi, favorire la respirazione e pulire e avviare la ciccatrizzazione delle piccole ferite.
Nel caso del Larice abbiamo a che fare con legno molto robusto e resistente, ma la sua compattezza varia a seconda delle condizioni in cui cresce: gli esemplari solitari ed esposti alle intemperie sviluppano un legno più duro e compatto, che può essere ulteriormente fortificato passandolo sul fuoco. Resiste sia all’usura del tempo che all’acqua poiché la resina lo rende impermeabile, tanto che in antico e fino a non molti decenni fa veniva usato per costruire barche, fondamenta, grondaie, travi, assi, coperture esterne, infissi e addirittura un tipo particolare di tegole (le scandole) in grado di resistere all’umido e all’intemperie. Per questa sua caratteristica il Larice per centinaia di anni è stato l’amico fedele dei montanari, il suo legno non tradisce; gli alpigiani trascorrevano le loro vite insieme a lui, all’aperto nella bella stagione all’ombra dei suoi rami ed anche in inverno quando riposavano e lavoravano sotto al suo legno. Il Larice era il silenzioso compagno di tutti gli eventi della vita, tanto che è stato scritto recentemente “I paesi della valle son fatti di sassi, anime e larici.”(1)
Ma il legno di Larice oltre che materiale da costruzione forniva all’abitante della montagna molti altri benefici: alimentava camini e stufe (benché bruci piuttosto velocemente essendo molto resinoso) diffondendo nell’aria un vago odore balsamico; inoltre si prestava bene all’intaglio e i lavori di ebanisteria, conservando dopo la lavorazione delle calde sfumature rosso-brune; grazie alla sua resistenza all’umidità e alla sua impermeabilità era perfetto per costruire botti; se ne poteva ricavare carbone.
Del Larice però si usavano tutto, non solo il legno e la resina: la corteccia più superficiale essendo ricca di tannini si usava per la concia delle pelli (anzi una ragazza del Sud Tirolo, mi ha riferito che la pelle conciata in questo modo non si rovina se bagnata), per la tintura (nero), ed addirittura come copertura delle case, mentre quella interna si poteva macinare ed unire alla farina per fare il pane, ed essendo ricca di fibre giova al buon funzionamento intestinale. Inoltre il Larice produce la "manna di Birançon" che le api raccolgono e lavorano ottendo un miele molto denso e che, se puro, è molto difficile da utilizzare per gli apicoltori e per le api stesse; da una sostanza zuccherina prodotta dalle foglie attaccate dagli afidi si ricava invece una melata dal sapore che ricorda quello della resina (2). Può essere che per questa sua caratteristica in alcune regioni i nomi del Larice facciano capo alla radice mel- “miele”, come per esempio il Ligure mele, il Piemontese malesso o melezè, il francese mélèze. Essendo i lariceti piuttosto luminosi favorivano la crescita di un ricco sottobosco composto anche da frutti di bosco quali il mirtillo e l’uva ursina, ed inoltre erano adatti per far pascolare le bestie.
Ricette
Sciroppo di Larice: si riempie un barattolo alternando uno strato di fiori femminili quando sono ancora rossi e morbidi e uno di zucchero (meglio se di canna) e si lascia macerare al sole finché lo zucchero non si è del tutto sciolto (qualche mese) allora si filtra e si conserva in barattolini. Alcuni oltre alle pigne e allo zucchero aggiungono anche un po’ di alcool, e credo che potrebbe essere una buona intuizione, essendo la resina solubile in alcool. Se ne prende un cucchiaio in caso di tosse e stati influenzali.
Aggiornamento: io ho provato a farlo, solo che essendo astemia non riesco a sopportare il gusto dell'alcool, la prossima primavera proverò la versione solo zucchero!
Grappa di pigne di Larice e Pino Mugo: in tarda primavera si raccolgono le pigne di entrambi gli alberi, le si mette in una bottiglia dopo averle tagliate a pezzi, riempiendo fino a un terzo, e poi si completa con la grappa. Si lascia a macerare qualche mese, fin quando il preparato ha assunto una colorazione ambrata. In caso si preferisca un sapore più dolce si può procedere come per lo sciroppo, mettendo a macero le pigne con lo zucchero, ed aggiungendo anche la grappa. Bere un bicchierino di questa grappa può giovare in caso di tosse, raffreddore, influenza.
Aggiornamento: la prima versione di questa grappa, quella senza zucchero è terribilmente amara, quindi credo che aggiungere lo sciroppo sia fondamentale.
Grappa di Larice: questa ricetta mi è stata donata da Lisa, della Val d'Ultimo,e viene dalla sua famiglia: in un litro di grappa bianca si mettono a macerare 5 fiori rossi di Larice tagliati in quattro. Si lascia il tutto a macerare al sole finché non assume una sfumatura rosso ambrata. A questo punto si aggiungono 2-3 cucchiai di miele, si lascia riposare per qualche settimana e poi si può bere.
Note
(1) Mauro Corona, Le voci
del bosco, pag. 106, EBI, 2009.
(2) Su questa benedetta manna di Briançon e sul miele di Larice
ci ho speso un bel po’ di tempo ma non sono ancora riuscita a capire la
questione. Nei libri che ho consultato, e in internet peggio ancora, non è
chiaro se ci sia un solo miele di Larice, se dalla manna si ricavi effettivamente
il miele o se si usi pura (ed essendo una sostanza zuccherina ci sta il
fraintendimento) ecc. Tutta questa confusione credo ancora una volta sia dovuta
al fatto che in Florario di Alfredo
Cattabiani (per chi non lo sapesse il libro più citato, scoppiazzato e ricitato
in ambito di studi mitologico-folklorici su alberi ed erbe, senza per altro che
siano indicate chiaramente ed esaurientemente le fonti da cui il buon Freddy
tra le sue notizie) è riportata l’esistenza di questo misterioso “ottimo” miele
ricavato dalla manna; peccato che gli apicoltori chiamino il miele di larice
miele-cemento poiché cristallizza tanto che è difficile toglierlo dai
telaietti…il che non mi farebbe propendere logicamente per chiamare questo
miele “ottimo”. Eppure esiste la melata di Larice che essendo melata è prodotta
dalle api raccogliendo una sostanza zuccherina che il Larice trasuda quando
viene punto da determinati afidi; insomma, la manna non c'entra nulla con questo. Però
anche qui alcuni dicono cementifichi, altri la vendono addirittura…che ci sia
confusione fra miele e melata? Sicché quello che sono arrivata a pensare io è
che esista: questa famosa manna da cui però non si ricava il miele; il miele di
Larice che si ricava dai fiori ma cristallizza subito; la melata di Larice che
invece si può usare.
Ma molto probabilmente non è così. Il primo apicoltore che pesco nelle mie prossime passeggiate alpine sarà caldamente invitato a rivelarmi qust’arcano, ma se qualcuno dei passanti fosse in grado di risolvere questa annosa questione mi farebbe un grande grande favore! E se siete di quelli che coppiano senza ritegno Cattabiani moltiplicando esponenzialmente la sua mancanza di fonti…eddai, informatevi!
Aggiornamento: non sono riuscita a dirimere la questione ma un ragazzo che ha lavorato presso apicoltori mi ha detto che da loro i melari contenente melata di Larice venivano usati per fare l'Idromele, poiché non si riescono a smielare visto che cristallizza in fretta.
Ma molto probabilmente non è così. Il primo apicoltore che pesco nelle mie prossime passeggiate alpine sarà caldamente invitato a rivelarmi qust’arcano, ma se qualcuno dei passanti fosse in grado di risolvere questa annosa questione mi farebbe un grande grande favore! E se siete di quelli che coppiano senza ritegno Cattabiani moltiplicando esponenzialmente la sua mancanza di fonti…eddai, informatevi!
Aggiornamento: non sono riuscita a dirimere la questione ma un ragazzo che ha lavorato presso apicoltori mi ha detto che da loro i melari contenente melata di Larice venivano usati per fare l'Idromele, poiché non si riescono a smielare visto che cristallizza in fretta.
Abitare le Alpi, G. Doglio e G. Unia, Edizioni L’Arciere,1980
Doni di Madre Terra, M. Leone, Araba Fenice, 2010
Guarire con i fiori di Bach, J. Howard e J. Ramsell, Tecniche Nuove, 1994
Le voci del bosco, M. Corona, EBI, 2009
Lo Spirito degli Alberi, F. Hageneder, Ed. Crisalide, 2004
Scoprire, riconoscere, usarele erbe, U. Boni e G. Patri, Fabbri Editori,1979
Terapia con i fiori di Bach, M. Scheffer, TEA, 2009
Acta Plantarum - Larice
Associazione micologica e botanica - Larice
Erbe officinali - Larice
Etimo.it
Larici millenari in Val d'Ultimo
Valli del Natisone - Larice
Wald Wissen - Utilizzazioni delle foreste a carattere agricolo nel periodo 1800-1950 (a questo indirizzo trovate anche altri due articoli correlati molto interessanti).
Le foto sono state scattate nei pressi di Quarzina (Ormea) e nella Valle delle Meraviglie. La tavola botanica è di Otto Wilhelm Thomé.
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citare la fonte.
Ringrazio Luca per l'aiuto sul miele, Alma per la pazienza mentre scrivevo, Laura perché fa quasi paura quanto siamo connesse, di nuovo Alma, Giulietta e Matte per avermi portato in mezzo ai Larici ed aver ascoltato quello che avevo da dire a riguardo ed avermi lasciato ascoltare quello che invece avevano da dire gli alberi, le Aridoe in generale perché è bello condividere con loro ciò che amo, anche se a loro a volte non può fregar di meno. Grazie anche a Michele - l'inviato per le informazioni sulla melata e a Lisa della Val d'Ultimo per la ricetta della grappa ed altre interessanti informazioni.
Vedi anche:
Illustrazioni botaniche di Larice
Mitologia del Larice
Lo Spirito del Larice
Aggiornato l'ultima volta il 22 Marzo 2015.