martedì 22 dicembre 2015

Illustrazioni botaniche d'Ulivo

Ulivo da Historia Plantarum (Biblioteca Casanatense, Ms. 459), fine del XIV sec.

Raccolta delle olive da un Tacuinum sanitatis del XV sec.

Mistelto e Olyve (Mirto e Ulivo) di Jean Bourdichon da Le Grandes Heures d'Anne de Bretange (Latin 9474), scritto e illustrato fra il 1503 il 1508 per la regina Anna di Bretagna.

Olea sativa e Silvestris olea da Rariorum plantarum historia - vol. 1  di C. Clusius, pubblicato nel 1601.

Olea lateva (e Malva) da Hortus floridus di C. van de Passe, pubblicato nel 1614.

Oliva sativa di Ulisse Aldrovandi, tavola botanica del XVI-XVII sec.

Vari tipi di Ulivo da Phytanthosa iconographia - vol. 3 di Johann Weinmann, pubblicato nel 1737.

Olea sylvestris da Herbarium Blackwellianum - vol. 3 di E. Blackwell, pubblicato nel 1757.

Olea europaea da Icones plantarum medico-oeconomico-technologicarum - vol. 2 di F. B. Vietz, pubblicato nel 1804.

Olea europaea da Flora Graeca - vol. 1 di Sibhtrop e Smith, pubblicato nel 1806.

Alcune varietà d'Ulivo da Traité des arbres et arbustes - vol. 5 di H. L. Duhamel du Monceau, nell'edizione del 1812.



Olea europaea da The North American sylva - vol. 2 di F. A. Michaux, pubblicato nel 1817-9.

Olivier cultivé a feuilles obtuses e Olivier cultivé à feuilles pointues da Traité des arbres forestiers di J. H. Jaume Saint-Hilaire, pubblicato nel 1824.

Olivier da Flore médicale - vol. 5 di F. P. Chaumeton, pubblicato nel 1831.

Olea europaea da Medical Botany -vol. 2 di W. Woodville, W. J. Hooker, G. Spratt nell'edizione del 1832.

Olea europaea da Flora von Deutschland, Österreich und der Schweiz di Otto Wilhlelm Thomé, pubblicato nel 1885.

Olea europaea da Medizinal Pflanzen - vol. 2 di F. E. Kohler, pubblicato nel 1890.

Vedi anche:
Ulivo
Storia dell'Ulivo
Mitologia dell'Ulivo: Grecia I
Mitologia dell'Ulivo: Grecia II
Mitologia dell'Ulivo: Vicino Oriente 
L'Ulivo in Liguria 
Illustrazioni botaniche di Achillea
Illustrazioni botaniche di Calendule
Illustrazioni botaniche d'Iperico  
Illustrazioni botaniche di Larice
Illustrazioni botaniche di Rosa (parte I)
Illustrazioni botaniche di Rosa (parte II)  
Illustrazioni botaniche di Violette

venerdì 18 dicembre 2015

Storia dell'Ulivo

Etimologia
Sia l'italiano Ulivo che il nome botanico Olea derivano dal latino olivum "ulivo" a sua volta da oleum "olio" affine al greco élaion "olio" e elaía "ulivo", parole già rintracciabili nel miceneo erawa "oliva" e erawo "olio" ; probabilmente questi termini sono non-Indoeuropei e sono stati adottati nelle lingue greche e latina da parlate del Vicino Oriente.
In Arabo l'oliva è zaytun (da cui lo spagnolo aceituna e il portoghese azeitona), la stessa radice, che si ritrova anche in ebraico, aramaico, copto potrebbe essere semitica e significare "essere importante, distinto" oppure derivare da lingue mesopotamiche (sumerico zirdum e accadico serdu).
In molte lingue mediterranee ed europee la parola che designa il prodotto delle olive, ovvero l'olio, è passato ad indicare indistintamente qualsiasi sostanza grassa allo stato liquido usata per la cucina.

Vicino Oriente
L'Ulivo domestico è probabilmente originario di una regione compresa fra il Caucaso, l'Iraq, il deserto arabico e la Turchia. Qui, a partire dall'Ulivo selvatico, l'Olivastro, si effettuò una progressiva selezione che portò alla varietà domestica e alla sua diffusione in tutto il Vicino Oriente già dal V millennio a. C. Alcuni ritrovamenti risalenti al neolitico confermano l'uso alimentare delle olive e le prime tracce di frantoi sono state ritrovate in Siria e Palestina e risalgono al 5000 a. C. In Palestina sono stati rinvenuti mortai in cui le olive venivano pressate e ridotte in pasta a forza di braccia, dopo di che il tutto veniva collocato in cestini di ramo d'ulivo e pressato con pietre sovrapposte; l'olio misto ad acqua di vegetazione veniva lasciato decantare e successivamente raccolto e conservato in appositi vasi o otri di pelle. Questa tecnica è quella che è stata utilizzata fino ai giorni nostri con strumenti più o meno avanzati.
I primi riferimenti scritti all'olio d'oliva si trovano nelle tavolette dell'archivio del palazzo reale di Ebla (odierna Siria settentrionale) e risalgono al 2500 a.C., documenti che parlano del prezzo dell'olio, della sua redistribuzione e dell'estensione e amministrazione degli uliveti sono stati rinvenuti anche nelle altre antiche città siriane di Mari e Ugarit.
Norme relative all'Ulivo e ai suoi prodotti sono presenti nel codice del sovrano babilonese Hammurabi, della prima metà del II millennio a. C.
In queste regioni l'olio raramente era usato a scopo alimentare, più spesso veniva usato come combustibile per lampade e fornaci, nella preparazione delle stoffe, come base per profumi, unguenti e vari medicamenti; per questo l'olio aveva anche una valenza erotica e seduttiva, che si ritrova anche in Egitto, Grecia e presso gli Ebrei.

Ebrei
 Come già visto, la Palestina è una dei primi centri di diffusione dell'olivicoltura, ma a differenza di altre popolazioni semitiche gli ebrei usavano l'olio anche come cibo, tanto che era presente in quasi tutte le preparazioni, ed insieme alla farina era un elemento fondamentale delle offerte a Dio, la base per i profumi e le unzioni che consacravano re, profeti e sacerdoti. La menorah, il candelabro a sette braccia ordinato da Dio a Mosè, doveva ardere solo il più puro olio d'oliva, e nell'Antico Testamento l'olio ha anche il significato di abbondanza e benedizione divina.
Nella Bibbia le olive sono uno dei cibi più citati, e sembra che la popolazione più dedita a questo tipo di coltivazione fosse quella dei Filistei, stanziata sulla costa mediterranea lungo i confini dell'antico Regno di Giuda. Il legno era usato anche per le costruzioni, e nel libro dei Re (6, 23-33) si può leggere che le porte del sacrario del Tempio di Salomone erano in Ulivo, così come i due cherubini scolpiti all'interno.

Egitto
L'olio d'oliva non veniva usato in cucina, per la quale si usava l'olio di sesamo, era infatti considerato un bene di lusso appannaggio soprattutto di sacerdoti, sovrani e Dei, questo anche perché l'Egitto non è il luogo ideale per la coltivazione dell'Ulivo, che pur essendovi stato importato prosperava solo in alcune aree e dunque non produceva abbastanza per soddisfare il fabbisogno dell'intero paese; una parte dell'olio doveva essere acquistata da Siro-Palestina e Grecia. Veniva quindi impiegato principalmente per le luminarie dei templi, ma soprattutto per la produzione di profumi, unguenti, medicamenti, attività in cui i profumieri egiziani raggiunsero l'eccellenza iniziando a sperimentare già dal IV millennio. Il procedimento era il seguente: in vasi mantenuti ad una temperatura di 50-60° venivano posti olio e acqua in eguale quantità ed una o più  sostanze profumate, solitamente d'origine vegetale; si lasciava a macerare il tutto da uno a cinque giorni durante i quali l'acqua penetrava nelle fibre e liberava gli oli essenziali che venivano catturati dall'olio. L'acqua poi evaporava piano piano, a processo ultimato l'olio era filtrato ed il profumo finito veniva riposto in vasi, spesso di alabastro o altro minerale che ne preservavano la fragranza. Questi prodotti erano usati per profumare oggetti, persone, ambienti, abiti, ed erano particolarmente apprezzati in un paese in cui le temperature alte favorivano la sudorazione e la fermentazione.
Olio e rappresentazioni dell'albero e dei rami sono stati rinvenuti in varie tombe di epoche diverse.
Tra l'altro l'olio oltre ad essere usato in cosmetici, lampade, medicine, rituali sacri e magici era una delle sostanze usate per l'imbalsamazione, ed è celebre l'importanza che questo processo aveva nella mentalità egizia.

Grecia
Nel III millennio a. C. circa si ebbe la diffusione nella penisola Ellenica dell'Ulivo domestico (Creta, Rodi e Cipro sembra lo conobbero da prima) probabilmente grazie ai contatti commerciali e culturali con le civiltà del Vicino Oriente. Nei resti del palazzo di Knosso a Creta, sono stati ritrovati moltissimi orci per l'olio, che ci testimoniano come il palazzo fosse fra le altre cose anche un centro di conservazione e redistribuzione dei prodotti dell'isola. Nella civiltà cretese le statue degli Dei venivano spalmate d'olio, possiamo supporre che lo si facesse sia per dare lucentezza e favorire la conservazione del materiale, sia con un qualche fine simbolico e sacro.
Il sito archeologico di Pyrgi, nell'isola di Cipro, ci ha restituito un complesso adibito alla produzione dell'olio dell'inizio del II millennio. Nel frantoio sono stati ritrovati vari attrezzi fra cui brocche, bacili, attingitoi, grossi vasi per la conservazione dell'olio con coperchi in calcare. Tuttavia altre giare d'olio sono state rinvenute anche nei locali adiacenti adibiti a fonderia del rame e laboratorio tessile; da questa caratteristica del complesso e dallo studio delle strutture, si è dedotto che l'olio venisse impiegato come combustibile per portare a fusione il rame, essendo più pratico della legna da ardere, ma anche come lubrificante per le fibre animali e vegetali prima della cardatura e durante la filatura e la tessitura. Come sovrappiù, un altro locale adiacente al frantoio era adibito alla fabbricazione di profumi partendo dall'olio più pregiato nel quale venivano messi in infusione fiori, spezie ed erbe.
A Santorini è stato trovato un frantoio d'epoca micenea (seconda metà del II millennio a. C.) in pietra lavica costituito da una pietra concava ed una convessa che andava a schiacciare le olive, per poi procedere con la spremitura e la decantazione.
Nelle tavolette cretesi e poi in quelle micenee trovate dagli archeologi in archivi di vari siti, sono state identificate la parole corrispondenti a olio, oliva ed ulivo, dalle quale derivano i termini in greco antico. Inoltre, su questi documenti di palazzo sono annotate le quantità dei vari beni presenti e di quelli redistribuiti al popolo, ai templi ecc. che ci possono dare un'idea dell'entità della produzione e del consumo a quei tempi. Si trova anche attestazione di un fiorente commercio d'olio verso l'Egitto. Esemplari di frantoio sono stati ritrovati nell'isola di Creta a Praisos, Gurnia, Malia e Vathypetro.
Le leggi ateniesi (Costituzione degli ateniesi, LX) punivano severamente colui che osava distruggere un Ulivo: in un orazione di Lisia intitolata Per l'ulivo sacro, un uomo viene giudicato dall'Areopago, il tribunale sacro di Atene, per l'accusa di aver sradicato uno di questi alberi; la pena prevista era la morte. Questo perché nel mito l'Ulivo è il dono di Atena agli uomini, ed intorno al primo di essi era stato costruito un tempio sull'acropoli di Atene, dunque tagliare uno di questi alberi, voleva dire spregiare un dono divino.
Rami d'Ulivo selvatico ornavano il capo dei vincitori delle Olimpiadi, mentre il premio per i migliori atleti delle Panatenaiche, era costituito da anfore piene d'olio ricavato dall'uliveto sacro ad Atena. Le anfore panatenaiche, la cui produzione inizia nel VI sec. a. C., di solito raffiguravano su un lato Atena, e sull'altro il tipo di gara per la quale costituivano il premio.
In tempi moderni si è stimato che ogni cittadino greco consumasse intorno ai 55 litri annui d'olio: circa 20 litri venivano usati per l’alimentazione, circa 3 litri venivano usati per l’illuminazione, circa 30 litri per l’igiene corporea dell’individuo, circa 2 litri venivano usati in ambito religioso per riti spirituali e circa 0,5 litri per la farmacopea.
La forte presenza di Ulivi nel mondo greco ed ellinico, sta alla base di molti toponimi, come Elaious città del Chersoneso Tracico, Elaia in Epiro, varie isole Elaioussa, ma anche alcuni luoghi più specifici come un promontorio nell'isola di Creta ed uno a Cipro, detti Elaia.

Roma
Nel corso del I millennio a. C. Greci e Fenici contribuirono a diffondere l'olivicoltura in Africa del nord (Cartagine), e verso occidente, in Italia e fino alla Spagna. Bisogna sottolineare però che l'Ulivo era già presente in queste zone da millenni, solo non erano diffuse le tecniche di coltivazione e lavorazione delle olive.
In Italia l'olivicoltura iniziò a diffondersi da varie direzioni: la colonia fenicia di Massaglia (odierna Marsiglia), le poleis greche fondate nel sud Italia, le città etrusche intorno alle quali erano presenti vari appezzamenti di terreno per la produzione d'olio.  Nell'area latina quest'albero arrivò intorno al VI sec. a. C.
Con l'espandersi dell'influenza romana in buona parte del mediterraneo, a partire dal II sec. a. C., ci fu un intensificarsi dei commerci d'olio, e vennero destinate nuove terre alla coltivazione dell'Ulivo. L'olio viaggiava sia via terra che via mare, in orci di pelle o anfore diverse a seconda del luogo di provenienza, in modo che sui mercati fosse facilmente intuibile la città di produzione.
Come testimoniato dai dettagliati trattati sull'agricoltura di Catone, Varrone, Columella e Palladio, la cura degli alberi e la trasformazione dei frutti in olio, divennero via via più efficienti; nel II-III sec. d. C. si colloca l'apice della produzione e richiesta di olio.
Dai testi latini ricaviamo anche una differenziazione fra i vari tipi di olio: oleum ex albis ulivis, proveniente dalla spremitura delle olive verdi e usato per la creazione di profumi essendo quasi privo di aroma; oleum viride, proveniente da olive a uno stadio più avanzato di maturazione, usato nei rituali religiosi; oleum maturum, proveniente da olive mature, adatto alla cucina; oleum caducum, proveniente da olive cadute a terra e oleum cibarium, proveniente da olive quasi passite, destinato all'alimentazione degli schiavi.
La prima menzione dell'olivicoltura ci viene dal trattato sull'agricoltura di Saserna, oggi perduto, ma tramandatoci in maniera frammentaria nell'opera di Columella De agricultura.
Il principio del frantoio romano è lo stesso di quello greco, con una mola che divide polpa e nocciolo, una pressa che fa uscire il liquido e delle vasche di decantazione in cui l'acqua di vegetazione si divide dall'olio.
Le olive costituivano un alimento importante nella dieta romana, tanto che molti scrittori latini ci hanno tramandato ricette e metodi di conservazione e deamarizzazione; anche l'olio era il fondamentale condimento per molti piatti, da quelli più semplici e rustici, alle sontuose portate imperiali, e la sua importanza è testimoniata anche dal fatto che fra i tributi che le popolazioni sottomesse dovevano pagare a Roma, rientrava anche l'olio. Una grande quantità di olio e di olive, veniva consumata dalle legioni (cibo, combustibile per lucerne, igiene personale, medicine), dunque la distribuzione doveva essere abbondante e capillare, tanto che in età imperiale a Roma c'erano speciali magistrati addetti alla distribuzione dell'olio.

Medioevo
Con lo sfaldarsi dell'Impero e quindi della redistribuzione statale del prodotto e della cura delle grandi piantagioni, sia la domanda che il consumo d'olio diminuirono grandemente. Durante l'alto Medioevo ci si dedicò più che altro ad un'agricoltura di sussistenza, dunque la produzione doveva bastare per piccole comunità e non veniva commerciata in luoghi lontani.
Nel VII sec. si colloca l'Edito di Rotari, che punisce chi danneggia gli Ulivi
Una nuova ripresa si ebbe solo con il diffondersi degli ordini monastici, in particolare quello dei Benedettini, che nei loro possedimenti e fondi incrementarono la coltivazione di qest'albero, sia per l'utilità della pianta, sia come importante simbolo religioso della cristianità; tra l'altro l'Ulivo forniva il combustibile per le lampade da altare che, così come quelle ebraiche, dovevano bruciare solo olio d'oliva.
Inoltre, molti monasteri conservavano parte delle antiche conoscenze mediche ed erano dotati di laboratori per la produzione di unguenti e medicine, per le quali l'olio d'oliva era spesso indispensabile. Bisogna anche ricordare che la maggior parte dei sacramenti cattolici sono impartiti tramite l'imposizione di olio su varie parti del corpo, così come la consacrazione di re, papi e vescovi; si può quasi pensare che la classe dominante dell'età di mezzo fosse riconosciuta nel segno dell'olio d'oliva!
In questo periodo in molti stati italiani furono emanati statuti, editi ed ordinanze che costringevano a piantare Mandorli ed Ulivi, e che punivano severamente chi li avesse danneggiati o esportati illecitamente. La produzione in alcune aree divenne così abbondante che parte del prodotto poteva essere venduto in altri stati e regni europei. Si potevano trovare anche frantoi ad acqua, ovvero con una ruota fatta girare dal flusso d'acqua, che azionava i macchinari adibiti alla frantumazione e alla pressa delle olive.
Una nuova battuta d'arresto si ebbe nel XIV con la Piccola Era Glaciale che restrinse l'areale di coltivazione dell'Ulivo ma che non danneggio molto la produzione in Italia, dove il clima era comunque abbastanza mite perché la pianta potesse sopravvivere. Anche l'aumento di aree boschive a causa dello spospolamento dovuto alla peste, ebbe una ripercussione su questa coltura.

Epoca moderna e contemporanea
Nel '600 ci fu un nuovo incremento dell'olivicoltura, i cui prodotti venivano commerciati dalle Repubbliche Marinare di Genova e Venezia in particolare. Tra l'altro l'invenzione del sapone con olio d'oliva, favorì lo sviluppo di manifatture soprattutto in Liguria e Provenza.
Usato al posto del Chinino quando questo mancava per curare la malaria, l’Ulivo continuò ad essere una coltura importante per alcune aree specializzate degli stati europei, fino all’industrializzazione, avvenuta in tempi diversi nei vari stati, che portò i contadini a muoversi verso la città e ad abbandonare alcuni uliveti, ottenuti con il duro lavoro e l’impianto di fasce a secco, come avvenuto in Liguria.
L’invenzione e l’impianto di macchinari per la frangitura, portò ad un radicale cambiamento del processo, che avviene in maniera più veloce e redditizia, anche se le tecniche usate e affinate per più di 7000 anni sopravvivono ancora in alcuni piccoli centri rurali.  


Fonti 
Excavation at Mendes, D. B. Redford, BRILL, 2004
Guida della Grecia - vol.1 L'Attica, Pausania, Mondadori, 1997
I profumi di Afrodite e il segreto dell'olio, M. L. Belgiorno, Gangemi, 2007
La costituzione degli Ateniesi, Aristotele, Mondadori, 1991 
La donna nell'antico Egitto, E. Leospo e M. Tosi, Giunti Editore, 1997
La sacra Bibbia, Edizioni Paoline, 1966
La vita quotidiana a Creta ai tempi di Minosse, P. Faure, Rizzoli, 1984
Olive Oil & Healt, J. L. Quiles, CABI, 2006
Ebla.it
Gernot Katzer's spice pages - Olive
I frantoi dell'Italia romana
L'huile d'olive et ses moulins au Moyen Age
Olivasdeoro.com - Olive oil history
Studio sulla variabilità genetica e sulla provenienza del germoplasma di Olea europaea L. in Emilia

Immagini
Immagine 1: tavolette contabili da Ebla. Foto tratta dal sito della Missione Archeologica Italiana in Siria.
Immagine 2: ricostruzione di un pannello dell'Arco di Tito, che rappresenta il trionfo dell'Imperatore, durante il quale vengono esibiti alcuni oggetti presi dal Tempio di Gerusalemme, fra cui la menorah. Coservata a Beth Hatefutsoth. Foto da Wikipedia.
Immagine 3: frammento di scultura su calcare rappresentante la mano del defunto, Akenathen, che tiene un ramo d'Ulivo, accarezzato dai raggi del sole, dal sito archeologico di Amarna, 1353-1323 a. C. circa. Conservata al Metropolitan Museun of Art di New York. Foto dal sito del museo.
Immagine 4: affresco minoico con toro e ramo d'ulivo, dal palazzo di Knosso a Creta, XVI sec. a. C. circa. Foto da Wikipedia.
Immagine 5: anfora a figure nere rappresentante giovani che raccolgono olive, del 520 a. C. circa, attribuita al Pittore di Antimenes, conservata al British Museum di Londra. Foto dal sito del museo.
Immagine 6: affresco etrusco rappresentante suonatori fra gli Ulivi, del 500 a. C. circa, dalla Tomba dei Leopardi di Tarquinia. Foto da Wikipedia.
Immagine 7: kantharos (coppa per bere) in argento con decorazioni di rami d'Ulivo e olive , del I sec. a. C., dalla Casa di Menandro a Pompei. Conservata al Museo Archeologico di Napoli.
Immagine 8: mercante d'olio, da un Tacuinum sanitatis del XIV sec.

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Vedi anche:
Ulivo
Illustrazioni botaniche d'Ulivo
Mitologia dell'Ulivo: Grecia I
Mitologia dell'Ulivo: Grecia II
Mitologia dell'Ulivo: Vicino Oriente 
L'Ulivo in Liguria

martedì 1 dicembre 2015

Ulivo


L'Ulivo fa parte della famiglia delle Oleaceae, il nome botanico è Olea europaea; sia l'italiano Ulivo che il nome botanico Olea derivano dal latino olivum "ulivo" a sua volta da oleum "olio" affine al greco elaion "olio" e elaia "ulivo", parole già rintracciabili nel miceneo elaiwon e elaiwa. Probabilmente questi termini sono non Indoeuropei e sono stati adottati nelle lingue greche e latina da parlate del Vicino Oriente. Europaea indica la zona di diffusione della pianta (benché sia d'origine Asiatica). Olea europaea var. sylvatica identifica l'Olivastro o Ulivo selvatico. Esistono almeno 1200 varietà di Ulivi domestici, di cui quasi la metà sono italiane.
Nomi popoari: Uiva, Oriva (Liguria), Ramoliva (Piemonte), Olia (Lombardia), Oliver (Veneto), Ulivar (Friuli), Ulivo, Ulivastro (Toscana), Piantone (Umbria), Auliva, Ogliastro (Campania), Gliastro (Basilicata), Termite (Puglia), Olivaru (Calabria), Alivu (Sicilia), Ollastru, Ugliatra (Sardegna).
In inglese è Olive, in francese Olivier, in tedesco Olivembaum o Olbaum, in spagnolo Olivo.

Descrizione: è un arbusto o un albero sempreverde, ad accrescimento lento e molto longevo, può raggiungere i 10-15 m, con una folta chioma costituita da molti rametti sottili, alcuni spioventi. Le radici nei primi anni sono fittonanti ma poi diventano più superficiali creando un ampio reticolo intorno all'albero. Il fusto è cilindrico ed eretto con corteccia grigio-bruna, negli esemplari anziani il tronco è spesso cavo e contorto con diametro fino ai 6 metri, la corteccia si fa più ruvida e screpolata.
I rami delle specie selvatiche (Olivastro) sono quadrangolari e presentano spine, mentre quelli di piante coltivate sono più tondeggianti e non spinosi. Le foglie coriacee sono opposte, ovali-lanceolate con la cima ottusa o appuntita, un corto picciolo, la parte superiore verde scuro e lucida, quella inferiore argentea e coperta di una sottile peluria.; si nota solo la nervatura centrale, il margine è intero e spesso ripiegato verso il basso. I fiori ermafroditi di piccole dimensioni che sbocciano ad aprile-maggio, sono riuniti in racemi all'ascella delle foglie dei rami giovani, solitamente di un anno, più raramente di due o tre, la corolla bianco-panna è a forma di imbuto con quattro lobi ovali, ha due grossi stami. La fecondazione avviene principalmente grazie al vento che trasporta il polline. Il frutto è una drupa di colore fra il verde, il rossastro e il nero, con una polpa oleosa ed un nocciolo ovale che giunge a maturazione fra novembre e dicembre.

Habitat: originario dell'Asia Minore, selezionato nel corso dei secoli dall'uomo, l'Ulivo si è diffuso già nell'antichità in Egitto, in Grecia e poi sulle rotte di Fenici, Greci e Cartaginesi in tutto il Mediterraneo, ma oggi si può trovare in tutti i continenti, anche se i maggiori produttori di olive sono europei: Spagna, Grecia, Italia, Portogallo, Francia. L'areale di diffusione dell'Ulivo determina l'estensione della "regione mediterranea" secondo i fitogeografi. In Italia cresce spontaneo l'Olivastro (specie selvatica), ma si trovano anche Ulivi domestici subspontanei, cioè quelli nati dalla dispersione dei semi da parte degli uccelli od altri agenti naturali. L'Ulivo vegeta anche lungo i litorali tollerando bene la salinità, ed arriva fino ad 800 m s.l.m. E' uno degli alberi d'elezione della Saturnia del pero, la più grande farfalla notturna presente sul nostro territorio. Sulle radici può crescere un fungo velenoso, l'Omphalotus olearius, chiamato comunemente Fungo dell'ulivo in Italia, mentre in inglese è detto Jack-O'lantern, non solo perché il colore arancio richiama quello delle zucche, ma anche perché le lamelle emanano una lieve luminescenza al buio. Vari uccelli nidificano sui suoi rami e si nutrono dei frutti.

Coltivazione: gli Ulivi domestici vanno innestati su portainnesti selvatici, ma si possono riprodurre anche tramite talee e polloni (chiaramente i polloni si prelevano dalla pianta innestata, non dal portinnesto). La varietà adatta si sceglie fra quelle tipiche del luogo, in quanto vengono da una lunga selezione e sono quelle più resistenti ed adatte al clima e al suolo di quella zona specifica. Va piantato possibilmente a sud in luogo soleggiato perché ha bisogno di molta luce, prospera anche su terreni
poveri purché riceva una buona quantità d'acqua durante l'estate. Le giovani piante iniziano a produrre a 5-6 anni, e la produzione diventa notevole dai 10-15 anni fino ai 100 ed oltre, benché spesso ai giorni nostri si preferisca, soprattutto per la produzione intensiva d'olio, sradicare gli alberi di una certa età ed impiantare un nuovo uliveto; fino a non molti anni fa per mantenere in salute le piante vecchie si praticava la sdrupatura, ovvero si ripuliva l'albero dagli strati di legno marci o malati, ma sembra che questa pratica sia pressoché caduta in disuso. Soffre a -8° quindi non è adatto ai climi freddi, soprattutto se umidi, tuttavia le gelate tardive non compromettono la fioritura che avviene a primavera inoltrata. Per avere una buona resa ed agevolare la raccolta va potato a gennaio-febbraio, solitamente a forma di vaso con un palco non molto alto, e può essere utile la concimazione che un tempo comprendeva oltre al letame (sparso non al colletto dell'albero, ma nel raggio di qualche metro fin dove arriva l'ampiezza della chioma, visto che le radici si espandono in maniera speculare), anche lana, scarti di cuoio, crini, corna e unghie d'animali; oggi si può procedere anche con una concimazione verde che contribuirà a riportare humus nei terreni impoveriti da decenni di sfruttamento intensivo.
Resiste agli incendi poiché spesso il ceppo ributta nuovi polloni.
Soffre di fumaggine, mosca dell'ulivo, lebbra dell'ulivo, rogna dell'ulivo, cocciniglia cotonosa, tignola, per combattere le quali oltre ai preparati chimici esistono provvedimenti atti a prevenire l'attacco (una pianta su un terreno sano ed in un ambiente sano è meno soggetta a malattie e parassiti) e prodotti biologici per curarlo.

La droga è costituita dalle foglie che si possono raccogliere tutto l'anno, dalla corteccia che si raccoglie alla fine del ciclo vegetativo ad ottobre-novembre, o prima del rigoglio primaverile a febbraio-marzo; si può ottenere facilmente decorticando i rami della potatura. I frutti al naturale, che si raccolgono da novembre a febbraio, hanno scarsi impieghi terapeutici, ma l'olio estratto è una dei più antichi ingredienti medici, erboristici, cosmetici, usato ancora oggi in moltissimi campi.

Utilizzi
Come sempre prendete ciò che segue per una ricerca, sperimentata solo in parte, e prima di utilizzare qualsiasi erba assicuratevi che sia quella giusta, che sia lontana da strade e fonti di inquinamento, verificate di non essere allergici o ipersensibili a qualche componente e prima di fare qualsiasi cosa consultate il vostro medico/omeopata/erborista.
ATTENZIONE: non assumere in contemporanea ai preparati a base di Ulivo farmaci antidiabetici e antipertensivi.
Le foglie hanno proprietà febbrifughe, astringenti, leggermente antisettiche, ipoglicemizzanti, ipotensive, diuretiche, ciccatrizzanti, vasotoniche, antiemorroidali.
La corteccia ha proprietà febbrifughe.
L'olio ha proprietà blandamente lassative, ricostituenti, emolienti, colagoghe, antiulcerose, antidoto agli avvelenamenti da sostanze irritanti l'intestino.

Erba fresca: nella tradizione popolare le foglie si masticano per rinforzare le gengive. La polpa delle olive pestata si può applicare sui foruncoli per portarli a maturazione.

Infuso: 3 g di foglie in 100 ml d'acqua, se ne bevono due tazzine al giorno per l'ipertensione. Con un infuso più concentrato si possono lavare piaghe e ferite in caso d'emergenza, fare impacchi per vasi superficiali dilatati ed emorroidi, fare sciacqui per irritazioni del cavo orale. In passato si usava anche per curare le febbri intermittenti, anche quelle malariche, invece del Chinino.

Olio: l'olio più pregiato è quello estratto a freddo per spremitura, quindi senza solventi chimici, detto extra-vergine, con bassa acidità; ha colore giallo-verde ed un aroma particolare. Da successive spremiture e processi a caldo si ricavano prodotti di qualità inferiore E' l'unico olio propriamente detto in quanto è già presente nel frutto, deve solo essere spremuto, a differenza dell'olio ricavato da semi che viene estratto tramite processi chimici o termici. Il consumo prolungato previene disturbi circolatori e malattie ad essi legate, in caso di stitichezza se ne prendono due cucchiai al mattino a digiuno, e questa abitudine giova anche alle ulcere gastriche; l'otite viene tradizionalmente curata versando alcune gocce d'olio caldo nell'orecchio, ed anche l'orzaiolo viene trattato con spennellature d'olio. Inoltre, l'olio d'oliva è emolliente per pelli secche, contribuisce a curare eritemi solari e bruciature, può essere aggiunto agli impacchi per capelli, qualche goccia passata sulle labbra screpolate supplisce alla mancanza di balsami d'altro tipo, può essere usato per struccare occhi e ciglia, e fin dall'antichità è usato per il massaggio.
E' uno dei principali solventi per gli oleoliti (macerazione di erbe in olio), ed è la base di unguenti (preparati cremosi a base di olio e cera), cold cream (preparati cremosi a base di olio, cera e acqua) creme e saponi.

Tintura: si prepara con 20 g di foglie in 100 ml d'alcool a 20° a macero per 5 giorni. Se ne prendono tre cucchiaini al giorno contro l'ipertensione. La tintura madre si prepara con i giovani rami con foglie raccolti a primavera e alcool a 65°, se ne prendono 40 gocce 3 volte al giorno. (Ricette tratte da Scoprire, riconoscere, usare le erbe e Dizionario di fitoterapia e piante medicinali).

Gemmoderivato: si usa come le foglie in caso di ipertensione, vasi dilatati e per regolare il metabolismo di grassi e zuccheri, è usato per prevenire e e curare l'arteriosclerosi e alcuni tipi di diabete.

Il legno d'Ulivo è duro, omogeneo, compatto, uno dei più pesanti fra quelli presenti in Europa, di color bruno chiaro con sfumature nette, si scurisce col tempo e se lavorato può diventare molto liscio e lucente. Visto che si taglia bene in tutti i sensi, è facilmente lavorabile e si conserva a lungo, in passato è stato tenuto in conto come il legno di Corniolo per tutti quegli oggetti o parti di attrezzi esposte ad usura come raggi delle ruote, manici di trivelle, cunei, perni, magli. Oggi si usa per piccoli mobili, oggetti d'artigianato e sculture, pannelli e pavimenti pregiati ma soprattutto manici, taglieri, stoviglie ed altri attrezzi da cucina. Inoltre il legno d'Ulivo è un ottimo combustibile producendo braci che durano a lungo, ed è dunque adatto sia per il riscaldamento, che per cucinare cibi alla brace. Brucia anche verde per la presenza di olio al suo interno; fornisce un buon carbone.
Al tempo dei Romani le ceneri di Ulivo venivano usate per un bagno de-amarizzante per le olive, spesso insieme alla calce. Oltre che per tutti gli usi già citati, l'olio veniva impiegato per alimentare le lucerne, in molti luoghi era il principale combustibile deputato a questo scopo.
Coi rami di potatura si possono fare fascine per il fuoco o si possono dare alle capre che ne sono ghiotte. I noccioli rimasti dopo la spremitura sono un ottimo combustibile, la pasta delle olive già spremute rientra nella creazione di alcuni piatti tradizionali, con la sansa esausta (privata degli ultimi residui d'olio) si possono produrre biocarburanti.

Ricette culinarie
Per millenni l'olio e le olive sono state alla base dell'alimentazione di molte popolazioni mediterranee, in particolare vari autori greci e romani ci hanno tramandato piatti a base di olive o derivati; fra gli altri ne hanno scritto Catone, Columella, Palladio, Apicio, Marziale, Giovenale, Orazio, Plinio, Petronio...
Per la cucina italiana l'olio d'oliva rimane un ingrediente irrinunciabile, come condimento, come base per soffritti, intingoli, salse (la maionese per es.), sughi, fritture, come conservante per i sottolii, come sostituto dei grassi animali nei dolci e molto altro.
Esistono moltissime varietà d'olive che differiscono per colore, grandezza, forma, aroma dei frutti, ma tutte generalmente si presentano al naturale troppo amare, quindi devono essere deamarizzate, solitamente immergendole più volte in acqua pulita o acqua e sale, anche per lunghi periodi, cambiando il liquido dopo un certo tempo. Le olive sono diventate per noi più che altro un contorno decorativo o degli stuzzichini, ma rientrano nella preparazione di molti piatti tradizionali di tutta Italia come il coniglio alla ligure, la buridda di stoccafisso, la pasta alla puttanesca, le olive ascolane e molti altri, ed un tempo erano la base dell'alimentazione di molte civiltà che si sono avvicendate sulle sponde del Mediterraneo.
Le olive vengono solitamente conservate sottolio, sotto sale o in salamoia, inoltre si può produrre il paté (sia dalle olive verdi che da quelle nere) che viene usato per insaporire le tartine, come condimento per la pasta ecc.


Fonti
Dictionaire Etymologique de la Langue Grecque - vol. 1, P. Chartaine, édition Klincksieck, 1968
Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, E. Campanini, Tecniche Nuove, 2004
Erbe medicinali, G. Ricaldone, Il Portichetto, 1981
Guida alle erbe, spezie e aromi, T. Stobart, Mondadori, 1979
Il libro degli alberi e degli arbusti, P. Lieutaghi, Rizzoli, 1975 
Il libro dell'autosufficienza, J. Seymour, Mondadori, 1984
Meravigliose erbe, A. Decò e C. Volontè, Editoriale del Drago, 1981
Scoprire, riconoscere, usare le erbe, U. Boni e G. Patri, Fabbri Editori,1979 
Actaplantarum - Olea Europaea
Associazione micologica e botanica - Olea europaea
Erbeofficinali.org - Olivo
Etimo.it - Olio
Gernot Katzer's spice pages - Olive

Le foto sono state scattate a Toscolano-Maderno (Bs) in varie stagioni fra il 2012 e il 2015. La tavola botanica è di Otto Wilhelm Thomé.

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citare la fonte.



Vedi anche:
Storia dell'Ulivo
Illustrazioni botaniche d'Ulivo
Mitologia dell'Ulivo: Grecia I
Mitologia dell'Ulivo: Grecia II
Mitologia dell'Ulivo: Vicino Oriente
L'Ulivo in Liguria

lunedì 16 novembre 2015

Columella


Vita
Lucio Giunio Moderato Columella naque nei primi anni del I sec. d. C. a Gades (odierna Cadice), dice infatti di essere contemporaneo di Seneca e Cornelio Celso, e che Varrone visse ai tempi di suo nonno. Sappiamo poco della sua vita, un'iscrizione tarantina (Corp. Inscr. Lat. IX, 235) ci dice che fu tribuno militare in Siria e dalle sue opere possiamo desumere che viaggiò in Cilicia. Fu per certo anche un proprietario terriero in centro Italia. Visse a Roma e si dedicò principalmente allo studio e all'agricoltura, influenzato forse dall'esempio dello zio Marco Columella che era particolarmente esperto nella cura degli animali. Anche un filosofo pitagorico a nome Moderato di Gades, citato da Plutarco, potrebbe essere stato un suo congiunto.
Dato il luogo di ritrovamento dell'iscrizione che lo nomina, si è pensato che Columella morì a Taranto.

L'opera
A noi sono pervenute due opere sotto il nome di Columella: il De re rustica "Riguardo all'agricoltura" in XII libri e il De arboribus "Riguardo agli alberi" ma non è chiara la parentela che li accomuna; secondo alcuni studiosi il secondo sarebbe una traccia od una prima edizione del primo, visto che in effetti tratta in breve i contenuti dei libri III-V del De re rustica; secondo altri si tratterebbe di un epitome. In alcuni manoscritti e nella prima edizione a stampa il De arboribus è stato inserito come III libro, portando ad una diversa numerazione di quelli successivi.
Potrebbe aver scritto anche un Adversus astrologos ed un trattato sulle cerimonie di purificazione dei campi, ma non abbiamo notizie in merito.

Il De re rustica, dedicata a un tale Publio Silvino è principalmente in prosa ma il X libro è in esametri, visto che si pone come una sorta di continuazione delle Georgiche di Virgilio, il quale non aveva trattato la coltivazione degli orti, argomento di questo libro. Nel progetto originale l'opera doveva concludersi con questo libro, ma ne vennero aggiunti altri due; probabilmente l'autore scriveva ed inviava libro per libro il testo al suo destinatario perché in apertura si trovano spesso risposte a commenti sul libro precedente.
Gli argomenti sono così suddivisi:
Libro I:  argomenti generali su come costituire una villa agricola
Libro II: la coltivazione dei campi, con particolare attenzione a cereali e legumi
Libro III-V: coltivazione e cura degli alberi
Libro VI-VII: cura degli animali
Libro VIII: cura di uccelli e pesci
LibroIX: cura delle api
Libro X:  in esametri, coltivazione dell'orto
Libro XI:  sui compiti del fattore con un calendario dei lavori agricoli
Libro XII: sui compiti della "fattoressa" con anche alcune ricette culinarie

Fra le sue fonti rientrano Catone e Varrone con le loro opere sull'agricoltura, ma è importante anche perché cita alcune opere agricole per noi perdute come quella di Magone di Cartagine, e una parte dell'opera enciclopedica di Cornelio Celso.
Tradizione manoscritta
Columella viene citato da Plinio e da Palladio. Nel Medioevo la sua opera è conosciuta solo in maniera frammentaria e viene riscoperto da Poggio Bracciolini all'inizio del '400.
I più antichi testimoni conservati sono il Sangermanensis Petropolitanus 207 (conservato alla Biblioteca di stato di San Pietroburgo) del IX sec. scritto forse all'abazia di Coribe in Francia e portato dopo la Rivoluzione francese in Russia, e l'Ambrosianus L85 sup. (conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano) del IX-X sec. scritto prabilmente a Fulda in Germania. Questi due manoscritti derivano da un archetipo comune e sono considerati i più autorevoli, ovvero i più fedeli al testo originale; della stessa famiglia doveva essere il manoscritto ritrovato da Poggio Bracciolini dal quale derivano molti manoscritti del XIV sec. scritti e conservati per lo più in Italia.
L'editio princeps, cioè la prima versione a stampa, è quella di Merula stampata a Venezia nel 1472, che comprendeva anche gli scritti d'uguale argomento di Catone e Palladio. L'edizione aldina fu stampata sempre a Venezia nel 1514 e restaura la numerazione originale senza il De arboribus come III libro.
Le più autorevoli edizioni critiche risalgono al 1735 ad opera di Gesner e al 1794-6 ad opera di Schneider.
L'edizione critica di Vilhelm Ludström, la più moderna, non copre tutta l'ampiezza dell'opera ma solo alcuni libri.
L'unica traduzione moderna in italiano che sono riuscita a trovare è quella della Einaudi (collana I millenni) del 1977 intitolata L'arte dell'agricoltura ad opera di Carlo Carena e con traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.


Immagini
Immagine 1: Columella in un'illustrazione di Jean de Tournes del 1559.
Immagine: una pagina miniata del codice Vallicellianus E39 conservato alla Biblioteca Vallicelliana di Romam  del XV sec.

Utilità
Qui il testo latino del De re rustica e del De arboribus nell'edizione di Gesner del 1787.
Qui testo latino del De re rustica e De arboribus nell'edizione di Vilhelm Ludström del 1902-17.
Qui testo latino del De arboribus dell'edizione di Vilhelm Ludrström del 1897.
Qui e qui testo latino e traduzione in inglese in tre volumi del De re rustica nell'edizione di Harrison Boyd Ash del 1941.
Qui traduzione in inglese del De re rustica dell'autore sul testo latino di Harrison Boyd Ash del 1941.
Qui e qui il testo latino e la traduzione italiana in due volumi del De re rustica e del De arboribus nell'edizione di Benedetto del Bene del 1808.

Fonti
Il bosco sacro, M. Bettini, La Nuova Italia, 2004
Storia letteraria di Roma, P. Fedeli, Fratelli Ferraro Editori, 2004
Treccani - Columella
Wikipedia.en - Columella

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Catone
Dioscoride
Plinio il Vecchio

I segreti dell'antica dea

I segreti dell'antica dea di Brenda Gates Smith, Sperling & Kupfer Editori, 2000.
Numero pagine: 320
Titolo originale: The Secrets of the Ancient Goddess
Lingua originale: inglese
Prima edizione: 1999
Prima edizione italiana: 2000
Genere: romanzo
Ambientazione: imprecisata
Epoca: preistoria

Ho sentito nominare questo libro per anni, e per anni non l'ho mai trovato o considerato, ma poco tempo fa, curiosando nella libreria di un'amica mi è capitato in mano, e l'ho letto tutto d'un fiato. Questo romanzo, come racconta all'inizio l'autrice, si basa su un sogno in cui s'immagina una civiltà diversa, devota ad una grande Dea. E nel corso della stesura, il sogno è stato alimentato dalle scoperte archeologiche avvenute a Çatal Hüyük, città neolitica dell'Anatolia, le cui tracce ci parlano di una comunità improntata su culti femminili ed una certa parità di genere. La storia si svolge al tempo dell'incontro fra questo tipo di cultura, e quella che l'archeologa Marjia Gimbutas ha chiamato Kurgan, basata su valori patriarcali, l'uso del cavallo e delle armi, e credenze androcentriche. Racconta di due donne, Henne e Yana, della loro vita e del loro incontro e scontro con gli uomini, del loro amore per la Dea e per la vita, delle loro paure e gioie in un mondo alle soglie del cambiamento.
Inevitabilmente, questo libro mi ha riportato alla mente un'altro romanzo, che io personalmente preferisco, I racconti di domani di Sara Morace, ispirato alle teorie di Marjia Gimbutas, ambientato anch'esso in un tempo passato indeterminato, incentrato sulle donne. Tuttavia anche I segreti dell'antica dea merita d'essere letto, per provare insieme all'autrice a immaginare una civiltà diversa, basata su valori altri, per provare a scardinare credenze che crediamo inevitabili e connaturate all'essere umano, ma che in realtà sono molto meno certe e molto più recenti di quanto comunemente si creda.
Dalla nota dell'autrice: "Pur essendomi basata sulle osservazioni di archeologi, antropologi e storici, questo libro dovrebbe essere letto come un'allegoria del passato che affronta però temi attuali. Molti importanti teorici della nostra epoca suggeriscono che il passato, il futuro e il presente siano ciclici e reciprocamente dipendenti."
Ecco perché ai nostri giorni è utile leggere libri del genere. Per poter immaginare un passato diverso e rendere possibile un futuro altro.

mercoledì 21 ottobre 2015

Catone il Censore


Vita
Marco Porcio Catone detto il Vecchio o il Censore per distinguerlo dal pronipote chiamato l'Uticense, nacque nel 234 a. C. a Tusculum (odierna Frascati) da una famiglia plebea di agricoltori ma anche di soldati. Originariamente il suo cognomen era Priscus ma venne cambiato in Cato "accorto" a causa della sua sapienza. Dopo la morte del padre amministrò una tenuta in Sabina e si dedicò all'agricoltura, qui visse in prossimità dell'abitazione di Manio Currio Dentato, eroe delle guerre sannitiche, contro i sabini e contro Pirro, conosciuto per la sua austerità, al quale forse il giovane Catone s'ispirò per i suoi valori. Grazie alla sua integrità ben presto fu chiamato a dirimere le cause nel circondario.
Militò nella seconda guerra punica ancora molto giovane contro Annibale e Astrubale e nel 214 divenne tribuno militare. Attirò su di sé l'attenzione di un suo nobile vicino, Lucio Valerio Flacco, un esponente dell'aristocrazia conservatrice avversa al partito degli Scipioni, sotto la cui ala Catone percorse tutti i gradi del cursus honorum. Nel 204 divenne questore in Africa e collaboratore di Scipione l'Africano col quale ebbe alcuni dissensi a causa della liberalità di quest'ultimo nelle spese; nel 198 ebbe l'incarico di pretore in Sardegna dalla quale portò il futuro poeta Ennio a Roma, che però entrò a far parte del circolo degli Scipioni.
Nel 195, console insieme a Valerio Flacco, fu il più acceso sostenitore della lex Oppia: questa legge, emanata durante la seconda guerra punica, proibiva alle donne di possedere più di una certa quantità d'oro, di vestire abiti dai colori vivaci e di usare la carrozza se non per feste religiose; si trattava di un mezzo per limitare la spesa pubblica in un tempo di crisi, ma terminate le ostilità coi cartaginesi fu proposta l'abrogazione. Ovviamente, Catone si pronunciò contrario insieme ad alcuni tribuni della plebe; in quell'occasione le donne romane scesero nelle strate rivendicando i propri diritti, tanto che alla fine la legge venne eliminata.
Come proconsole operò in Spagna sempre con la solita fermezza, ed anzi secondo il racconto che Livio ci fa della sua campagna, senza pietà e risparmio di massacri.
 Nel 191 partecipò alla guerra contro Antioco III di Siria per il dominio della Grecia e contribuì grandemente alla vittoria romana durante la battaglia decisiva delle Termopili.
Nel 186 appoggiò il senatoconsulto che proibì la celebrazione dei Baccanali, le feste misteriche in onore di Dioniso.
Nel 184 dopo un primo tentativo non riuscito, divenne censore, carica con la quale viene solitamente ricordato, anche a causa della sua severità sul giudizio della morale pubblica, ed anche per questo è ricordato come un esempio di rispetto del mos maiorum, gli usi e i costumi tradizionali romani in tutta la loro integrità e durezza. Fu un aspro critico di qualsiasi minima deviazione dalle consuetudini e dall'antica compostezza, arrivando a condannare moglie e marito perché s'erano scambiati un bacio in pubblico.
Dopo quella di censore non assunse altre cariche ma non si ritirò mai dalla vita pubblica, ed anzi fu uno dei più convinti sostenitori della terza guerra punica, anche in seguito ad un suo viaggio in Africa nel 157, durante il quale vide come la città di Annibale si fosse largamente ripresa dai conflitti precedenti. Rimarrà celebre un suo detto a riguardo: Cartago delenda est "Cartagine dev'essere distrutta".
Nel 155 spinse per far allontanare da Roma un'ambasceria proveniente da Atene composta da alcuni filosofi, poiché riteneva la filosofia greca e la cultura ellenizzante del periodo non consona ai cittadini romani, linea già perseguita negli anni precedenti e che aveva portato all'espulsione dei filosofi epicurei nel 173 e di tutti i filosofi nel 161.
Partecipò a molti processi sia come accusatore che come accusato con rappresentanti del partito scipionico del quale fu sempre un acerrimo fustigatore. Forse anche per questo Scipione l'Africano si ritirò da Roma in tarda età, ma una sorta di pace venne sancita con il matrimonio fra il figlio di Catone, Marco Porcio Catone e la sorella di Cornelio Scipione Emiliano, nuovo capo della fazione dopo la morte dell'Africano.
Morì nel 149 a. C. all'inizio della terza guerra punica condotta dal genero che portò effettivamente alla distruzione di Cartagine.
Plutarco ce lo descrive come un uomo con gli occhi grigi, i capelli rossi ed un fisico prestante a causa del duro lavoro agricolo e militare.
Ebbe due mogli, la prima gli diede il figlio Marco Porcio Catone Liciniano morto durante la vita del padre, la seconda, sposata già ottantenne, ebbe Marco Porcio Catone Salonio.

L'opera
Nell'antichità circolavano molti dei suoi discorsi pronunciati in svariate occasioni ma a noi sono arrivati solo dei frammenti. I Libri ad Marcum filium, una sorta di piccola enciclopedia ad uso del figlio, anch'essi frammentari, parlavano anche di medicina e agricoltura. Il Carmen de moribus, dipinge le virtù tradizionali che un ideale aristocratico dovrebbe avere.
Però le due opere per cui è più conosciuto sono le Origines, il primo trattato storiografico in latino, e il De agri cultura, la prima opera in prosa giuntaci intera della latinità. Dopo la sua morte circolava anche una raccolta di Dicta Catoni, detti e proverbi attribuiti al censore che contribuirono a farne un personaggio emblematico della sua epoca.

Il De agri cultura o De re rustica "Riguardo all'agricoltura", l'opera che in questa sede più ci interessa è composto di 162 capitoli di lunghezza diseguale, è diretto a piccoli e medi proprietari terrieri per dar loro indicazioni su come dirigere al meglio la villa e farla fruttare. Tratta di come organizzare la villa, dove piantare le cose e come e dove riporre gli attrezzi per i vari usi; come preparare e riporre gli attrezzi per la vendemmia e la raccolta delle olive e come condurle; come gestire gli alberi da frutto e i pascoli, il bestiame e gli schiavi e come curarli. Rientrano nel testo anche alcune ricette di cibi rustici, la descrizione di alcuni riti religiosi, ad esempio quello del capitolo 142 per la purificazione di un campo. Ci sono poi alcuni capitoli dedicato alla medicina con piante e cibi della campagna come ai capitoli 127-8 e 159-161. Nei capitoli si può trovare un157-8 un vero e proprio elogio del cavolo, sia come cibo che come medicina per i più svariati malesseri.

Tradizione manoscritta
Spesso il De agri cultura venne trascritto insieme ad altre opere latine d'identico argomento, principalmente il De re rustica di Varrone, il De agri cultura di Columella e l'Opus agriculturae di Palladio.
Non si riesce a risalire molto in dietro nella tradizione di quest'opera; l'editio princeps (la prima edizione a stampa) del 1472, stampata a Venezia e basata su un manoscritto del XV sec., venne confrontata con il così detto codex Marcianus allora conservato alla Biblioteca di San Marco di Venezia ed oggi perduto, da Angelo Poliziano che annotò a margine le varianti. Grazie a queste note i filologi hanno dedotto che quasi tutti i manoscritti oggi conservati derivano dal codex Marcianus perduto.
 Il Parisinus 6842A (conservato alla Biblioteca Nazionale Francese di Parigi) del XII-XII sec; è il testimone più antico e contiene sia il trattato di Catone che quello di Varrone.
Il Mediceus-Laurentianus 30, 10 (conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) del XIV secolo contiene oltre alle opere di Catone e Varrone anche quella sull'architettura di Vitruvio.
Il Caesenas Malatestianus 24, 2 (conservato alla Biblioteca Malatestiana di Cesena) del XV sec. oltre a Catone e Varrone riporta anche l'opera agricola di Columella.
Le maggiori edizioni critiche sono quella ad opera di Heinrich Keil del 1884-94 e quella da essa derivata ad opera di George Goetz del 1922.

Riflessioni
Il libro sull'agricoltura di Catone era dedicato a piccoli e medi proprietari terrieri che passavano nella villa solo una parte del loro tempo; la maggior parte dei lavori erano delegati al fattore. C'è quindi sottesa all'opera una certa tendenza a guardare al profitto economico, e nessun accenno alla suggestione della bellezza naturale. Si parla non di una produzione per autosufficienza ma di una vera e propria impresa agricola.
C'è però la convinzione che l'agricoltura contribuisca a mantenere una certa dirittura morale, forza fisica ed in generale tutta quella serie di virtù di austerità e frugalità tipiche della mentalità romana arcaica.
Parlando di medicina, è indimenticabile l'idea di Catone, riportata da Plinio di un complotto ordito dai medici greci per uccidere i romani, facendosi anche pagare per questo; insomma che il complottismo ha radici più antiche di quanto si creda.
Il nostro Catone dunque deve essere stato un personaggio davvero monolitico e intransigente: ce l'aveva con le donne, coi filosofi, coi medici greci, con i simpatizzanti della cultura greca, coi greci in generale, con chi ostentava ricchezza, con gli Scipioni, con Cartagine, con i Baccanali...insomma una personcina amabile! Tuttavia, al di là della personalità dell'autore, nel suo trattato si trovano utili ed interessanti indicazioni agricole anche per noi moderni, corredate da indicazioni precise di misure, pesi, quantità.


Immagini
Immagine 1: Catone in una stampa.
Immagine 2: pagine del manoscritto Mediceus-Laurentianus 30, 10

Utilità
Qui brevi note filologiche sulla tradizione manoscritta del De agri cultura.
Qui il testo latino del De agri cultura dell'edizione di F. Speranza del 1974.
Qui il testo latino del De agri cultura dell'edizione di G. Goetz del 1922 e traduzione in inglese di W. D. Hooper e H. B. Ash della stessa edizione.
Qui testo latino e traduzione in italiano del De agri cultura dell'edizione di Giovanni Berengo del 1846.
Qui testo in latino e traduzione in francese del De agri cultura dall'edizione di M. Ninsard del 1877.

Fonti antiche
Cicerone, De senectute
Cornelio Nepote, De viris illustribus, Catone
Plino, Storia naturale, XXIX, 8
Plutarco, Vite parallele, Catone
Tito Livio, Ad urbe condita, XXXIV;  XXXIX, 40, 44

Fonti moderne
Il bosco sacro, M. Bettini, La Nuova Italia, 2004
Storia letteraria di Roma, P. Fedeli, Fratelli Ferraro Editori, 2004
Wikipedia.en - Cato the Elder

Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Vedi anche:
Columella
Dioscoride
Plinio il Vecchio

lunedì 19 ottobre 2015

Plinio il Vecchio

 
Vita
Gaio Plinio Secondo viene comunemente chiamato Plino il Vecchio, per distinguerlo da Plinio il Giovane, figlio di Plinia, sorella del Vecchio, e da lui adottato. Al nipote dobbiamo la maggior parte delle informazioni sulla vita e la personalità del nostro autore.
Nacque da una famiglia di ceto equestre nell'allora Gallia Transpadana a Novum Comum (oggi Como, ma secondo altri a Verona) nel 23 o 24 d. C., secondo una fonte tarda i suoi genitori sarebbero stati Gaio Plinio Celere e Marcella. Studiò a Roma dal 35 d. C. presso il retore Pomponio Secondo e più tardi esercitò la professione di avvocato. Combatté nella cavalleria in Germania sotto il comando dello stesso Pomponio secondo; un giorno deve aver perso un finimento del cavallo recante il suo nome che è stato ritrovato dagli archeologi. Probabilmente fu durante questi anni che conobbe il futuro imperatore Tito. Tornò stabilmente in patria intorno al 59; durante il principato di Nerone si tenne lontano dalla corte, forse per una sua certa opposizione al princeps e si dedicò allo studio e alla scrittura. Nel 62 nacque il nipote Plinio il Giovane, che nel 70 andò a vivere insieme alla madre presso lo zio, essendo il padre deceduto. Dopo la conquista del potere da parte di Vespasiano, padre di Tito, Plinio ebbe una brillante carriera che lo portò ad essere prefetto provinciale in Gallia Narbonense (70) e in Spagna (73), ma ebbe anche incarichi nella Gallia Belgica e in Africa e tornato a Roma nel 75/76 continuò a collaborare strettamente con l'imperatore, Plinio il Giovane ricorda che i due s'incontravano ogni giorno ancor prima dell'alba. Nel 77, probabilmente, venne pubblicata la sua opera principale, la Naturalis Historia.
Morì a Stabbia nel 79 d. C., pochi mesi dopo Vespasiano, durante l'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano: si trovava sul posto come comandante della flotta di stanza in Campania per portare aiuto alle popolazioni colpite e ad alcuni amici, e gli fu fatale, come racconta il nipote, la curiosità che lo fece avvicinare troppo per vedere da vicino il fenomeno vulcanico.
Sempre dalle parole di Plino il Giovane, si evince l'amore per lo studio e la conoscenza di Plinio il Vecchio, che dedicava tutto il tempo possibile alla sua erudizione: "Prima dell'alba andava dall'imperatore Vespasiano: infatti anche quello approfittava della notte; poi al compito affidatogli. Ritornato a casa, quel tempo che restava lo dedicava agli studi. Spesso dopo lo spuntino...d'estate, se c'era un po' di tempo libero, stava sdraiato al sole; veniva letto un libro; egli faceva delle osservazioni e individuava brani da citare. Era anche solito dire che nessun libro è così cattivo da non giovare per qualche aspetto. "  E più oltre: "Infatti riteneva che fosse perduto tutto il tempo che non veniva dedicato agli studi. Con questo ritmo di lavoro portò a termine questi rotoli così numerosi, e a me lasciò centosessanta rotoli di appunti di passi scelti..."(1)
Una statua rappresentante Plinio il Vecchio è presente sul Duomo di Como, sua città d'origine.

L'opera
Risultano perduti il De iaculatione equestri su come scagliare il giavellotto a cavallo, scritto durante le campagne in Germania e probabilmente ispirato alla tecnica usata dalle popolazioni locali; la sua biografia di Pomponio Secondo; i Bella Germaniae che narrano dei conflitti fra Germani e Romani (sembra che durante la sua permanenza in Germania l'autore avesse sognato il principe Druso, padre dell'imperatore Claudio morto durante gli scontri coi Germani, e che questi gli avesse chiesto di tramandare la sua memoria), fonte principale per quegli anni degli Annali di Tacito e della Germania ; l'A fine Aufidii Bassi opera di storia contemporanea che si poneva come continuazione di quella di Aufidio Basso; lo Studiosus riguardante la retorica e il Dubis sermo su morfologia e ortografia, entrambi scritti durante il principato di Nerone. Buona parte di questi testi risultavano già pressoché introvabili nel IV sec. oscurati dall'opera retorica di Quintiliano e da quella storica di Tacito.

L'unica opera conservatasi, che è poi quella che gli è valsa la sua fama (ed indubitabilmente il nostro ringraziamento per la mole di informazioni tramandateci), è la Naturalis Historia "storia naturale" o meglio "indagine sulla natura", un'opera enciclopedica in 37 libri dedicata al futuro imperatore Tito, progettata probabilmente sotto Nerone e alla quale Plino lavorò fino al 77 d. C. anno della pubblicazione, ma potrebbe non essere riuscito a terminare la revisione finale del testo. In origine ogni libro era aperto dall'indice degli autori consultati, ma Plino il Giovane li riunì tutti, ed insieme al sommario andarono a costituire il libro I. Visto che si parla di più di circa cento autori, è difficile dire quali vennero tenuti in maggiore considerazione, anche se si può supporre che Varrone fosse tra questi.
I libri che in questa sede più ci interessano, e che costituiscono il cuore e la parte più estesa dell'opera, sono quelli che vanno dal XII al XIX sulla botanica e l'agricoltura e dal XX al XXXII sulla medicina, le cui fonti principali potrebbero essere Giuba II, Catone, Teofrasto e Crateva.
Gli argomenti sono così ripartiti, tenendo comunque a mente che ci sono molti excursus:
Libri XII e XIII: piante esotiche
Libro XIV: la vite, la viticoltura, il vino (tratta anche della birra)
Libro XV: l'ulivo ed altri alberi da frutto
Libro XVI: alberi e botanica
Libro XVII: altre piante utili (parla anche  di agricoltura e in particolare del grano)
Libro XVIII: come dirigere una fattoria
Libro XIX: orticultura (con particolari riferimenti al lino)
Libro XX:droghe ottenute da ortaggi e altre piante da giardino
Libro XXI e XXII: droghe ottenute da fiori ed erbe (con anche una trattazione sulle api e sui pesi e misure greche)
Libro XXIII: droghe ottenute dal vino, dalla noce, dall'olio, dai frutti
Libro XXIV: droghe ottenute dagli alberi (con un excursus sulle piante magiche)
Libro XXV: droghe ottenute dalle erbe (parla anche degli scritti greci a riguardo)
Libro XXVI: malattie e rimedi a base di erbe (parla anche di una "setta" medica detta degli Asclepiadi)
Libro XXVII: droghe ottenute da piante selvatiche
Libro XXVIII: medicine ottenute dall'uomo (parla anche di canti e invocazioni per guarire e di cosmesi) e dagli animali
Libro XXIX: medicine ottenute dagli animali (traccia anche una storia della medicina)
Libro XXX: medicine ottenute dagli animali (traccia anche una storia della magia)
Libro XXXI e XXXII: medicine tratte dal mare e dai suoi abitanti
In questi libri Plinio cita circa 900 materie curative, più di qualsiasi altro autore antico.

Tradizione manoscritta
Essendo la Naturalis Historia così ampia, si capisce perché venne ben presto compendiata e divisa in parti riguardanti i singoli argomenti, sicché la tradizione manoscritta è composta da molti testimoni che tramandano solo una parte dell'opera; tuttavia è stato possibile ricostruirla interamente, ed è tra l'altro una delle più estese opere inntegrali arrivateci della latinità. Si sono conservati circa 200 manoscritti, e fra i più antichi molti sono palinsesti (ovvero, le pagine su cui era scritta l'opera di Plinio sono state raschiate e riutilizzate come supporto scrittorio per opere posteriori, ma è stato possibile ricostruire il testo antico tramite processi chimici o luci particolari), come il St. Paul im Lavanttal cod. 3/1 detto codex Moneus (conservato alla Biblioteca dell'abazia di San Gallo) del V sec. d. C. contenente una parte dei libri XI-XV.
Al VI sec. risale un manoscritto copiato in Inghilterra, ma quello considerato più autorevole è il Class. 42 (conservato alla Biblioteca di Stato di Bamberga) dell'inizio del IX sec. che riporta i libri XXXII-XXXVII
consultabile qui.
I primi manoscriti che contengono tutto o buona parte del testo datano al IX secolo, in particolare il Lipsius 7 (conservato alla Biblioteca di Leida) che contiene tutti i libri, il Bibl. Ricc. 488 (conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze) dal I al XXXIV e il Parisinus Latinus 6795 (Biblioteca Nazionale di Francia di Parigi) dall'I al XXXII. Da quest'ultimo derivano molti testimoni successivi.
Nel III sec. d. C. Solino riassunse la parte riguardante la geografia.
Nel IV sec. d. C. i libri sulla medicina vennero compendiati in un trattato intitolato Medicina Plinii e integrati con parti tratte da Dioscoride e Celso, l'opera voleva essere un utile strumento per i viaggiatori che altrimenti sarebbero caduti nelle mani di medici avidi e incapaci. Nel V-VI secolo viene a sua volta riadattata ed integrata con altre fonti e prende il nome di Physica Plinii; nel XVI sec. la si attribuirà a un fantomatico Plinio Valeriano.
La Naturalis Historia viene citata da Isidoro di Siviglia nel VII sec come fonte per la sua estesa opera, le Etymologiae; nell'VIII sec. d. C. un manoscritto parziale viene usato da Beda il Venerabile per il suo trattato sulla natura. Dante cita Plinio nel De vulgari eloquentia come uno dei massimi prosatori della latinità (mentre da altri fu accusato di mancanza di stile nella scrittura).
Petrarca nel 1350 comprò un manoscritto della Naturalis Historia e notò come già allora il testo fosse corrotto e rimaneggiato; lo sappiamo poiché quella copia è ancora oggi conosciuta e reca le annotazioni del poeta a margine. Per tutto il medioevo il testo di Plinio sarà presente sullo sfondo di lapidari, bestiari, opere mediche, geografiche ecc.
La prima edizione a stampa risale al 1469 e fu stampata a Venezia. Nel 1506 a Roma fu ritrovato un gruppo scultoreo d'epoca romana, che venne identificato grazie alla descrizione di Plinio contenuta nella sua opera enciclopedica: si trattava del Laocoonte, l'espressiva scultura venne spostata dall'allora papa Giulio II in quelli che divennero poi i Musei Vaticani.
L'edizione critica della Naturalis Historia fu approntata nel XIX sec. da autori soprattutto tedeschi, ed il risultato è l'opera di Karl F. T. Mayhoff, a tutt'oggi considerata la più autorevole.

Riflessioni
A differenza di Dioscoride che si fa vanto d'aver sperimentato ed acquisito praticamente le conoscenze che trascrive, Plinio ammette apertamente che l'immensa mole di notizie contenute nella Naturalis Historia viene principalmente dai libri, anche se non c'è da dubitare che alcune cose le abbia apprese nel corso dei suoi viaggi. Ed egli stesso nella dedica della sua opera al futuro imperatore Tito dice: " Infatti è cortese, come penso, e pieno di onesto rispetto confessare attraverso chi avrai fatto progressi, non come fecero la maggior parte fra questi, che consultai."(2)
Se da un lato è ammirabile l'esperienza pratica di Dioscoride che vuole superare e correggere il sapere puramente "libresco", dall'altro merita un encomio anche l'onestà intellettuale di Plinio, che infatti cita chiaramente tutti gli autori consultati per ogni libro. Tale onestà e chiarezza ai nostri tempi spesso mancano essendo tralasciate le fonti da cui sono tratte le informazioni, soprattutto al tempo di internet, in cui ogni notizia viene diffusa e presa per buona senza che se ne conosca l'origine.Ed è inoltre da rilevare che Plino pur traendo il suo sapere di seconda mano, non rinuncia certo ad un certo senso critico, chiarendo e a volte contestanto alcune affermazioni delle sue fonti, e dicendo esplicitamente all'inizio del III libro, che fra i vari autori consultati seguirà quello che riterrà più veritirero.
E continua umilmente nella dedica dicendo "Non dubito che ci siano molte cose che mi sfuggono."(3)
Dunque ci troviamo sicuramente davanti ad un'opera di diletto ma che anche vuole giovare ai suoi lettori come l'autore stesso scrive: "Perché leggi queste cose imperatore? Furono scritte per l'umile volgo, i contadini, la schiera degli artigiani, ed in ultimo per gli studiosi."(4) Possiamo dire che Plinio riuscì pienamente nel suo intento, raccogliendo e tramandando conoscenze che verranno lette per secoli, e che ancora oggi sono una miniera di informazioni riguardo ai più disparati campi dell'antichità e del sapere umano.
Italo Calvino nel suo saggio sulla Naturalis Historia scrive: "Potremmo distinguere un Plinio poeta e filosofo, con un sentimento dell’universo, un suo pathos della conoscenza e del mistero, e un Plinio nevrotico collezionista di dati, compilatore ossessivo, che sembra preoccuato solo di non sprecare nessuna annotazione del suo mastodontico schedario."(5) Ed in effetti è proprio così, leggendo le pagine di quest'opera immensa non si può non essere colpiti dall'amore per la conoscenza del nostro autore, e contemporaneamente si ha l'impressione che egli voglia riunire e sistematizzare qualsiasi cosa scritta sui vari argomenti, ancorché curiosa o improbabile.
Infine, vorrei chiudere riportanto quello che per Plino era l'argomento dei suoi libri: "...la natura delle cose, che è la vita..."(6).


Note
(1) Epistolae, III, 5.
(2) Naturalis Historia, I, 21.
(3) Naturalis Historia, I, 18.
(4) Naturalis Historia, I, 6.
(5) Il cielo, l'uomo, l'elefante in Perché leggere i classici, pag. 43.
(6) Naturalis Historia, I, 13.

Immagini
Immagine 1: rappresentazione di Plino il Vecchio da un testo di Cesare Cantù del 1859.
Immagine 2: la statua rappresentante Plino il vecchio sul Duomo di Como.
Immagine 3: frontespizio della Naturalis Historia di un'edizione a stampa del 1669.

Utilità
Qui tutte le fonti letterarie che parlano della vita di Plinio (sito inglese testo latino)
Qui l'intero testo latino della Naturalis Historia  (testo in latino)
Qui la traduzione inglese della Naturalis Historia dell'autore e testo latino di K. F. T. Mayhoff (testo in latino e inglese sito in inglese)
Qui la traduzione inglese della Naturalis Historia di H. T. Riley del 1955 e testo latino di K. F. T. Mayhoff (testo in latino e inglese sito in inglese)
Qui la traduzione in inglese della Naturalis Historia del 1949-1954 di H. Rackham, W.H.S. Jones e D.E. Eichholz (testo e sito in inglese)
Qui  e qui si può leggere il saggio di Italo Calvino riguardante la Naturalis Historia, Il cielo, l'uomo, l'elefante (pagg. 42-54) contentuto in Perché leggere i Classici (ho segnalato entrabe le edizioni poiché alla prima mancano parti presenti nella seconda, quindi alla fine saltando un po' dall'una all'altra si potrà consultare il testo completo)

Fonti antiche
De viribus illustribus, Svetonio (breve vita di Plinio)
Epistolae, Plinio il Giovane, VI, 16 (sulla morte), e III, 5 (su opere e studio)
Naturalis Historia, Plinio il Vecchio

Fonti moderne
Il bosco sacro, M. Bettini, La Nuova Italia, 2004
Perché leggere i Classici, I. Calvino, Mondadori, 1995
Storia letteraria di Roma, P. Fedeli, Fratelli Ferraro Editori, 2004
Livius.org - Natural History
Livius.org - Pliny the Elder
The manuscripts of Pliny the Elder's "Natural History"
Wikipedia.en - Medicina Plinii
Wikipedia.en - Natural History
Wikipedia.en - Pliny the Elder

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Vedi anche:
Catone
Columella 
Dioscoride
Storia dell'Achillea
Storia della Calendula
Storia della Violetta