giovedì 29 gennaio 2015

Mitologia della Violetta

In greco antico la Viola è íon, fitonimo di probabile origine pre-ellenica. Il termine viene tradotto anche "bruno, scuro", poiché è questa la sfera cromatica a cui si riferisce questo specifico termine, più che alla nostra idea di colore viola, come conferma la parola iodnephés "scuro come la Viola". Il termine ricorre in epiteti come iostéphanos "coronata di Viole" che veniva attribuito ad Afrodite e alle Muse, e persino Saffo venne così chiamata dal suo contemporaneo Alceo. Ioblépharos "dagli occhi di Viola" è ancora Afrodite e con lei le Cariti, ióplokamos "dalle trecce di Viola"e iókolpos "dal seno o dalla cintura di Viola" sono altre entità femminili o donne cantate dai poeti, Luciano chiama una delle sue cortigiane Ioessa "Violetta" (1).
Al di là dello studio linguistico, i riferimenti mitologici che riguardano la Viola sono moltissimi: innanzi tutto, le Viole ornavano i prati magnifici intorno l'antro di Calipso, la bellissima ninfa che tentò di trattenere Odisseo presso di sé.
Pausania riporta una variante del ratto di Kore/Persefone: la fanciulla intenta a cogliere boccioli sarebbe stata attratta da un particolare fiore fatto spuntare da Gea, la Terra, per ingannarla, solitamente è il Narciso, ma in questa versione comprare la nostra Violetta. Forse a causa di questo inganno, Persefone rese le Viole più scure degli altri fiori, come dice Ateneo, ed anzi, da quanto si può desumere dalla sfera di significati legati alla Viola nella lingua greca, è proprio il fiore scuro per eccellenza, come per altro confermano altre sue denomiazioni, ovvero melanion "scuro/nero" e melanthium "fiore scuro/nero".
Io trasformata in vacca
Un'altra traccia riguarda Io, la fanciulla argiva amata da Zeus e per ciò tramutata in vacca da Hera e costretta a vagare intorno al Mediterraneo sferzata da un tremendo tafano. Gea, la Terra, impietosita per le sventure della donna-mucca, fece sorgere dai prati le Violette, affinché essa potesse cibarsene, e poiché erano spuntate per Io, da essa presero il nome (íon).
Negli ultimi due racconti è la Terra, l'antichissima e prima Madre a far spuntare le Viole, e ciò potrebbe indicare l'appartenenza della Viola a quella gamma di piante usate e conosciute in  Grecia fin dai tempi remoti, considerando anche che la maggior parte delle piante citate nei miti, sorgono da o grazie a divinità di generazioni successive.
Altra figura mitica legata alla Violetta è Ione, eroe eponimo degli Ioni, una delle antiche stirpi greche, il quale deve forse il suo nome alla Viola (2). All'arrivo dell'eroe in Elide le ninfe ioniades, ovvero le "ninfe delle Viole" gli donarono una corona intrecciata con questi fiori. Alle ioniades era dedicato un santuario, sempre in Elide, dove si trovava una sorgente curativa in grado di guarire da ogni dolore e malattia. Si ritrova qui la capacità curativa di questa pianta dalle proprietà sudorifere, depurative, diuretiche, dermopurificanti, emollienti, antinfiammatorie, e dunque legate simbolicamente all'acqua, alle sue proprietà rinfrescanti e al suo scorrere. Ione è anche una delle Nereidi secondo lo Pseudo-Apollodoro.
Alla luce di tutto ciò Ileana Chirassi, una studiosa del mondo classico, teorizza che la Viola potesse essere una sorta di "pianta totemica" della stirpe degli Ioni, risalente ad un remoto periodo pre-cerealicolo, durante il quale era una delle piante usate dagli uomini (nutritiva e curativa a un tempo) e dunque investita di significati sacrali.
Esistono però anche altre personificazioni della Viola, come Iole: costei fu amata da Eracle ma andò in sposa al figlio Illo dopo la morte dell'eroe. Alla sfera dei congiunti di Eracle appartiene anche Iolao, il quale avrebbe fondato una città in Sardegna e da lui sarebbe discesa la stirpe degli Iolaeis, forse il "popolo viola", e quindi "popolo scuro, nero".
Pindaro, nella sesta Olimpica, racconta di Iamo, il capostipite di una dinastia sacerdotale di Olimpia, gli Iamidi. Evadne "dalle trecce di Viola", avendo giaciuto con Apollo partorisce in un bosco, per non rendere nota la sua condizione, e adagia il bimbo fra "i raggi chiari e purpurei delle Viole" dalle quali il piccolo prende il nome. Nutrito con miele da due serpenti dagli occhi splendenti, una volta cresciuto viene a conoscenza dell'identità dei suoi genitori e diviene indovino. Il  popolarissimo schema del bambino "speciale" abbandonato in un luogo naturale e nutrito da animali selvatici, potrebbe riferirsi a quasi dimenticati riti di iniziazione, che presumono un allontanamento dalla sfera del noto, dell'umano, del certo, verso ciò che è divino, naturale, selvaggio.

Cibele e Attis dietro ad un Pino
In ambiente romano, il mito più noto che parla delle Viole è sicuramente quello di Attis, d'origine frigia ma importato a Roma già in età repubblicana.
Il mito, piuttosto lungo e complesso inizia con il desiderio di Zeus per la Grande Madre Cibele, ovvero la Terra, sulla quale il Dio rilascia il proprio seme. Da esso nasce l'androgino Agditis dotato di enorme forza a causa della sua doppia natura. Gli Dei lo evirano e dal membro reciso germoglia un Melograno (o un Mandorlo).
Nana, la figlia del fiume Sangario si posa in grembo un frutto del magico albero, e così concepisce un figlio. Sangario persuaso della dissolutezza della giovane, tenta di farla morire di fame, ma la Grande Madre la nutre con delle mele e la aiuta a partorire. Tuttavia il padre espone il bambino in un canneto, ma il piccolo viene fortunatamente salvato ed allattato da una capra (detta attagos in frigio, da cui il nome di Attis).
Cresciuto, diviene un giovane bellissimo, che suscita l'amore sia di Cibele che di Agditis. Quando Attis si reca a Pessinunte per sposare la figlia del re, di nome Ia, Agditis lo rende folle,  tanto da spingerlo ad evirarsi sotto un Pino; dal suo sangue versato spuntano le Viole. La ferita lo porta alla morte e la stessa Ia, addolorata per la fine dello sposo, si suicida e anche dal suo sangue nascono i fiori scuri.
Cibele porta il Pino nella sua grotta e Agditis, pentito, chiede a Zeus di riportare in vita il bel giovane, ma esso rifiuta, promettendo però di renderne il corpo incorruttibile. Agditis diventa quindi il primo sacerdote del culto di Attis a Pessinunte ed istituisce le feste primaverili in suo onore.

Benché l'epilogo di questa storia si concluda con eventi di morte, il culto di Attis e della Grande Madre sottointendeva un ritorno alla vita del giovane. Infatti le feste di Cibele a Roma si svolgevano dal 22 al 28 Marzo, nel periodo dell'Equinozio di Primavera, quando i giorni iniziano ad essere più lunghi delle notti.
Dopo una settimana di purificazione detta castus matri "digiuno della Madre" dal 15 al 21 marzo, il 22, detto arbor intrat "l'albero entra" o dies violae "giorno della Viola", i sacerdoti di Cibele tagliavano un Pino e lo ornavano con bende di lana, l'effige di un giovane - certo il bel Attis - e serti di Viole, il fiore nato dalle stille del suo sangue. L'albero veniva condotto al tempio con una grande processione. Nei giorni successivi il Pino veniva sepolto con manifestazioni di lutto e tristezza, ma il 25 marzo, detto hilaria "giorno di gioia" si celebrava con grande allegria il ritorno alla vita di Attis, con travestimenti e licenze d'ogni tipo, come nel nostro Carnevale.
Per affrontare tutti gli aspetti della storia di Attis e della sua liturgia servirebbe un libro intero, ma volendo trattare della parte che le Viole hanno in esso, ciò che io penso, è che mentre il Pino che attraversa l'inverno senza perdere le foglie rappresenta una promessa di sopravvivenza, di rinnovamento della vita, della Natura e degli stessi uomini, le Viole come primi fiori della prima vera sono il mantenimento di quella promessa. Sembrano dire: "Ecco, è vero, la vita è tornata, e noi ne siamo le annunciatrici", sono testimonianza che la morte si tramuta in vita, il sangue versato in fiore. 
 Può darsi dunque che per le antiche civiltà il ritorno della primavera, del tempo delle Viole, fosse una delle molte conferme del fatto che ad ogni morte succede la rinascita. Da questo nucleo originario, potrebbe essersi derivare il ciclo mitico comune anche ad Adone, Osiride, Tammuz e ad altri Dei che muoiono e risorgono, inizialmente in forma di vegetali spontanei ed alberi, e in seguito come simbolo dei cereali e dell'umanità stessa.


Note
(1) I nomi delle cortigiane greche si rifanno spesso a nomi di fiori, o a concetti come la dolcezza, la grazia, la bellezza.

(2) Questo secondo Ileana Chirassi, per cui anche la Ionia, altro non sarebbe stata che un'enorme aiuola di Viole; altri tuttavia propongono etimologie differenti. A confermare la sua supposizione potrebbe venire il fatto che Atene, città degli Ioni per eccellenza, viene definita "coronata di Viole", ad esempio in Pindaro ed Aristofane. Il mar Ionio prende questa denominazione secondo alcuni in seguito al passaggio di Io, secondo altri da Ione, e sarebbe dunque "il mare viola" ovvero scuro; ipotesi suggestive anche se non verificabili.


Fonti classiche
Arnobio, Adversus nationes (V, 5 storia di Attis e Ia, qui in inglese)
Ateneo, Deipnosofisti (XV, 681 D Ioniades dette tali per il dono di corona di viole a Ione) (XV, 684 b-c Violette rese scure da Proserpina)
Catullo, Carmina, 63 (evirazione di Attis)
Diodoro Siculo, Biblioteca storica IV 29-30 (Iolao in Sardegna, capostipite degli Iolaeis)
Eschilo, Prometeo incatenato (nome delle Viole da Io)
Omero, Odissea, (V, 72 Viole sui prati davanti all'antro di Calipso)
Pausania, Periegesi, (IX, 31, 9 Viola fiore del ratto di Kore; VI, 22, 7 santuario delle ioniades; VII, 17, 10-12 storia di Attis)

Fonti
Dizionario di mitologia classica, G. L. Messina, Signorelli Editore, 1959
Elementi di culture precereali nei miti e riti greci
, I. Chirassi, Edizioni dell'Ateneo, 1968
Florario, A. Cattabiani, Mondadori, 2009
Il ramo d'oro, J. Frazer, Bollati Boringhieri, 2003
La letteratura greca, G. Guidorizzi, Einaudi, 1997
La religione dei romani, J. Champeaux, Il Mulino, 2002
Lirici greci, M. Cavalli, G. Guidorizzi, A. Aloni, Mondadori, 2007
Vocabolario della lingua greca, F. Montanari, Loescher, 2004 


Immagine 1:  Oinochoe a figure rosse del 450 a. C. circa attribuita al Pittore di Pisticci. Rappresenta Io in forma di vacca condotta da Argo, dietro di loro Ermes. Da Museum of Fine Art di Boston.
Immagine 2: Altare votivo del 295 a. C. dedicato da Lucio Cornelio Scipione Oreito dedicato a Cibele che compare sul carro trainato da leoni, e Attis, ritratto dietro ad un Pino. Conservato a Villa Albani, Roma.


Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.

Grazie alla sempre cara Rebecka, che mi ha prestato il libro di Ileana Chirassi.

Vedi anche:
Violetta
La Violetta nell'antichità
Lo Spirito della Violetta
Alcune varietà di Violetta
Illustrazioni botaniche di Violette
Sciroppo di Violette

Aggiornato l'ultima volta il  24 agosto 2020.

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