Nelle valli dolomitiche, laddove il Larice occupa vasti
pendii e sembra quasi che arrivi a lambire i cieli limpidi sopra le vette, e alberi
e animali sembrano ancora essere lì lì per mettersi a fare accordi e narrare
storie agli uomini, si narra di come vide magicamente la luce. In Val Costeàna,
vicino a Cortina, si trovano il Col de la
Merisana e poco distante il Ru de ra
Vèrgines “il torrente delle Vergini”, così chiamato, secondo i racconti del
luogo, perché abitato da incantevoli spiriti femminili delle acque, che nel
caldo mezzogiorno uscivano dal fiume vestite di chiari abiti, e vagavano sul
colle della Merisana. La collina prendeva il nome dalla loro regina, Merisana
appunto, la bellissima signora delle Ondine, alla quale andavano il rispetto e
l’amore di piante, animali, acque e spiriti naturali. Ma nonostante la vita
beata e la bellezza del suo regno incantato, Merisana, non era felice, poiché
il suo cuore pietoso le diceva che non esisteva felicità se qualcuno nel mondo
soffriva, ed erano tanti coloro che ovunque si trovavano in questa condizione,
secondo quanto le raccontavano ogni tanto i pastori.
Un bel giorno però, il Rèi de Ràjes
(Re dei Raggi), sovrano di un luogo poco distante, si trovò a passare lungo il
rio delle Vergini, dove si fermò a riposare. Mentre fissava le limpide acque
del fiume ecco apparire ai suoi occhi il volto di una splendida fanciulla,
tanto bella come mai ne aveva viste, che per un solo istante lo fissava dal
fondo del torrente, per scomparire subito dopo. Che dolcezza in quegli occhi,
che grazia in quell’espressione amorosa, quale bellezza in quel volto!
Il Re dei Raggi tornò al suo regno, ma conservò chiaro e vivo nel cuore il ricordo della splendida fanciulla intravista nella corrente del rio, e per un intero anno rifiutò di prendere in sposa qualsiasi ragazza gli venisse proposta, per quanto bella, poiché sempre aveva davanti agli occhi quel volto dolcissimo.
Dopo quell’anno però gli venne rivelato che colei che aveva intravisto nei flutti, altri non era se non una delle fanciulle del fiume, e che poteva vederla emergere da esso ad ogni mezzogiorno. E così il Re dei Raggi fece in modo di trovarsi presso l’acqua nel fulgore del mezzogiorno, ed ecco che la bella fanciulla, che altri non era se non Merisana, emerse tutta adorna di gocce che rilucevano al sole. I due si parlarono, e per sei giorni lui si recò in quel luogo e si intrattenne lietamente con lei, e poi il settimo la chiese in sposa, ed essa disse che volentieri l’avrebbe sposato, ma prima avrebbe voluto trovare un modo per far cessare la sofferenza di tutti gli esseri viventi. Il Re si consultò con i suoi saggi, ma questi gli riferirono che ciò che Merisana voleva era impossibile da realizzare; allora essa chiese che il dolore fosse bandito almeno per un giorno, quello delle sue nozze, ma ancora le venne detto che ciò non era fattibile. Così, alla fine essa acconsentì a condizione che tutti fossero felici almeno per un’ora, quella che lei aveva più cara, il mezzogiorno, durante il suo sposalizio.
Allora tutti si rallegrarono, gli alberi fronzuti, gli animali sui prati e nelle tane, le erbe piccole e grandi, i monti e i corsi d’acqua, perché per qualche tempo ogni loro dolore, ogni loro sofferenza fino al più piccolo fastidio furono sospesi. Allora la terra generò mille e mille fiori dagli infiniti colori e tutti li portarono come dono alla bella e gentile sposa che con il suo desiderio li aveva resi felici. C’erano così tanti mazzi di fiori quel giorno, che due nani presenti alla festa li raccolsero tutti insieme e diedero loro l’aspetto di un albero: il Larice. Ma il nuovo albero appassiva infretta poiché era fatto di fiori recisi, così Merisana rinunciò al suo velo di sposa e lo gettò sul Larice per dargli vita propria. Così sotto a quei rami sottili ornati di tutta la bellezza della terra e della riconoscenza di tutti i viventi per Merisana, si compirono le nozze fra lei ed il suo amato Re dei Raggi. Ed è proprio a causa della sua magica nascita che il Larice perde le foglie d’autunno a differenza delle altre conifere, e quando le riacquista in primavera e rinverdisce, si può intravedere in esso la trama sottile del velo da sposa della bellissima Merisana.
Il Re dei Raggi tornò al suo regno, ma conservò chiaro e vivo nel cuore il ricordo della splendida fanciulla intravista nella corrente del rio, e per un intero anno rifiutò di prendere in sposa qualsiasi ragazza gli venisse proposta, per quanto bella, poiché sempre aveva davanti agli occhi quel volto dolcissimo.
Dopo quell’anno però gli venne rivelato che colei che aveva intravisto nei flutti, altri non era se non una delle fanciulle del fiume, e che poteva vederla emergere da esso ad ogni mezzogiorno. E così il Re dei Raggi fece in modo di trovarsi presso l’acqua nel fulgore del mezzogiorno, ed ecco che la bella fanciulla, che altri non era se non Merisana, emerse tutta adorna di gocce che rilucevano al sole. I due si parlarono, e per sei giorni lui si recò in quel luogo e si intrattenne lietamente con lei, e poi il settimo la chiese in sposa, ed essa disse che volentieri l’avrebbe sposato, ma prima avrebbe voluto trovare un modo per far cessare la sofferenza di tutti gli esseri viventi. Il Re si consultò con i suoi saggi, ma questi gli riferirono che ciò che Merisana voleva era impossibile da realizzare; allora essa chiese che il dolore fosse bandito almeno per un giorno, quello delle sue nozze, ma ancora le venne detto che ciò non era fattibile. Così, alla fine essa acconsentì a condizione che tutti fossero felici almeno per un’ora, quella che lei aveva più cara, il mezzogiorno, durante il suo sposalizio.
Allora tutti si rallegrarono, gli alberi fronzuti, gli animali sui prati e nelle tane, le erbe piccole e grandi, i monti e i corsi d’acqua, perché per qualche tempo ogni loro dolore, ogni loro sofferenza fino al più piccolo fastidio furono sospesi. Allora la terra generò mille e mille fiori dagli infiniti colori e tutti li portarono come dono alla bella e gentile sposa che con il suo desiderio li aveva resi felici. C’erano così tanti mazzi di fiori quel giorno, che due nani presenti alla festa li raccolsero tutti insieme e diedero loro l’aspetto di un albero: il Larice. Ma il nuovo albero appassiva infretta poiché era fatto di fiori recisi, così Merisana rinunciò al suo velo di sposa e lo gettò sul Larice per dargli vita propria. Così sotto a quei rami sottili ornati di tutta la bellezza della terra e della riconoscenza di tutti i viventi per Merisana, si compirono le nozze fra lei ed il suo amato Re dei Raggi. Ed è proprio a causa della sua magica nascita che il Larice perde le foglie d’autunno a differenza delle altre conifere, e quando le riacquista in primavera e rinverdisce, si può intravedere in esso la trama sottile del velo da sposa della bellissima Merisana.
Merisana sembra essere una forma di “meridiana” (dal latino
“mezzo giorno”), l’orologio solare che grazie all’ombra gettata da una punta su
un piano numerato permette di sapere che ore sono. Strumenti di misurazione
solare però sono diffusi in tutto il mondo dai più antichi primordi umani, e a
questo ambito appartengono anche tutti quei luoghi costruiti in modo che i
raggi di sole di un determinato giorno (solstizio, equinozio ecc.) colpiscano
un punto particolare della struttura. Ma esistono anche meridiane naturali,
costituite da pietre, cime di monti ed altro ancora, e una di queste si trova
poco lontano dal luogo in cui si svolge la storia di Merisana, e prende il nome
di Bèco de Mesodì “Becco di
Mezzodì”.
Il nome Rèi de Ràjes indica chiaramente il Sole, e tutta la leggenda è piena di riferimenti solari.
Il Larice è dunque il dono di nozze di una delle Amanti del Sole, una delle Luminose Signore delle Acque e della Luce, una Dispensiera di Gioia, una portatrice di bellezza e pace, colei che dona agli esseri viventi la quiete e la dolcezza, una Signora di compassione. Ed il suo albero non può che conservare parte di questo spirito lieto e donarlo a chi gli s’avvicina con rispetto e meraviglia.
Questa atmosfera luminosa e solare mi porta ad intravedere un legame fra il Larice e la festa del Solstizio d’Estate, quando il Sole è al massimo della sua forza ed il giorno dura a lungo, ma richiama anche la dea Diana nel cui tempio non esistevano ombre, ed anche quelle dee che ricevevano l’appellativo di Lucina (dal latino lux “luce”) o Lucifera “che porta luce” come la stessa Diana o Giunone. Ma Merisana mi fa pensare anche ad Amaterazu, la Dea-Sole dello shintoismo giapponese, ma anche alla compassionevole Tara del buddhismo indiano e tibetano, e a Kwan Yin del buddhismo estremo orientale.
Nel Tirolo il Larice era anche associato alle Salg Fräulein o Selige Fräulein, dove selig è traducibile come “beato, felice, benedetto, saggio” mentre fraulein significa “signorine”. Erano costoro soavi fanciulle biancovestite, che potevano essere viste cantare all’ombra dei vecchi Larici, e da loro potrebbero discendere le Salighe che ancora popolano i racconti del basso Tirolo. Si sa pochissimo di questi spiriti naturali, ma come molte loro sorelle, queste Dame bianco vestite, a metà fra fata, strega e saggia Donna mortale incarnano lo sprito della Natura e del bosco, e possono essere benevole e concedere favori e aiuto ai montanari, oppure dimostrarsi avverse a coloro che le importunano.
Il nome Rèi de Ràjes indica chiaramente il Sole, e tutta la leggenda è piena di riferimenti solari.
Il Larice è dunque il dono di nozze di una delle Amanti del Sole, una delle Luminose Signore delle Acque e della Luce, una Dispensiera di Gioia, una portatrice di bellezza e pace, colei che dona agli esseri viventi la quiete e la dolcezza, una Signora di compassione. Ed il suo albero non può che conservare parte di questo spirito lieto e donarlo a chi gli s’avvicina con rispetto e meraviglia.
Questa atmosfera luminosa e solare mi porta ad intravedere un legame fra il Larice e la festa del Solstizio d’Estate, quando il Sole è al massimo della sua forza ed il giorno dura a lungo, ma richiama anche la dea Diana nel cui tempio non esistevano ombre, ed anche quelle dee che ricevevano l’appellativo di Lucina (dal latino lux “luce”) o Lucifera “che porta luce” come la stessa Diana o Giunone. Ma Merisana mi fa pensare anche ad Amaterazu, la Dea-Sole dello shintoismo giapponese, ma anche alla compassionevole Tara del buddhismo indiano e tibetano, e a Kwan Yin del buddhismo estremo orientale.
Nel Tirolo il Larice era anche associato alle Salg Fräulein o Selige Fräulein, dove selig è traducibile come “beato, felice, benedetto, saggio” mentre fraulein significa “signorine”. Erano costoro soavi fanciulle biancovestite, che potevano essere viste cantare all’ombra dei vecchi Larici, e da loro potrebbero discendere le Salighe che ancora popolano i racconti del basso Tirolo. Si sa pochissimo di questi spiriti naturali, ma come molte loro sorelle, queste Dame bianco vestite, a metà fra fata, strega e saggia Donna mortale incarnano lo sprito della Natura e del bosco, e possono essere benevole e concedere favori e aiuto ai montanari, oppure dimostrarsi avverse a coloro che le importunano.
Presso alcune popolazioni siberiane come Ostiachi e
Turaniani, il nostro albero sarebbe stato l’Albero cosmico (benché in questo
caso non parliamo più di Larix decidua, ma di un’altra varietà) ed i boschi
sacri che li ospitavano venivano ornati con pelli, frecce, oggetti in metallo,
stoffe, pellice ed ospitavano le immagini degli Dei del luogo.
Di alcune altre interessanti notizie riguardanti il Larice
non sono riuscita a trovare le fonti, come per esempio riguardo le Hexenrüttel,
bacchette di Larice che in Germania si appenderebbero su porte e finestre il 30
aprile per tenere lontane le streghe, o la tradizione secondo la quale i
bambini avrebbero indossato un collare fatto di corteccia di questo albero per
tenere lontano il diavolo. Non dubito però che tradizioni simili siano
esistite, ed in parte ancora si tramandino, nei luoghi in cui il Larice cresce
presso le case ed è uno dei compagni della vita degli uomini. Tante piccole
consuetudini ed atti d’amore e rispetto per questo saggio e luminoso fratello
maggiore. Non ho dubbi che chissà dove e chissà quando donne e uomini di conoscenza
hanno attinto allo spirito solare e leggero di quest’albero, lasciandosi
guidare e consigliare da esso.
Bibliografia
Arboreto salvatico, Mario Rigoni Stern, Einaudi, 1996,
Donne selvatiche, Claudio Risé e Moidi Paregger, Frassinelli, 2002
Encyclopedia of Fairies in World Folklore and Mythology, T. Bane, 2013
Florario, Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2009
I Monti Pallidi, Carl Felix Wolff, Cappelli Editore, 1987
Leggende delle Alpi, Maria Savi-Lopez, Editrice Il Punto, 2011Arboreto salvatico, Mario Rigoni Stern, Einaudi, 1996,
Donne selvatiche, Claudio Risé e Moidi Paregger, Frassinelli, 2002
Encyclopedia of Fairies in World Folklore and Mythology, T. Bane, 2013
Florario, Alfredo Cattabiani, Mondadori, 2009
I Monti Pallidi, Carl Felix Wolff, Cappelli Editore, 1987
Lo Spirito degli Alberi, Fred Hageneder, Ed. Crisalide, 2004
The Forest in Folklore and Mythology, Alexander Porteous, Dover Publication, 2002
The Lore of the forest, Alexander Porteous, Cosimo, 2005
Sitografia
The Forest in Folklore and Mythology, Alexander Porteous, Dover Publication, 2002
The Lore of the forest, Alexander Porteous, Cosimo, 2005
Sitografia
Fotografia mia scattata a Quarzina (CN).
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citarne la fonte.
Vedi anche:
Larice
Illustrazioni botaniche di Larice
Lo Spirito del Larice
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