martedì 11 ottobre 2016

La chimera

La chimera di Sebastiano Vassalli, Einaudi, 2007
Numero pagine: 308
Lingua originale: italiano
Prima edizione: 1990
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Zardino, villaggio della pianura Padana
Epoca: XVII sec. - XX sec.

La chimera è un essere mitologico; mostro tre volte ferino, sconfitto solo grazie all’aiuto degli Dei e di Pegaso, il cavallo alato. Ma nel linguaggio comune è anche una sorta di miraggio, un qualcosa di irraggiungibile che sparisce con le prime luci della ragione o del mattino. Sicché, quando ho preso in mano questo libro, mi aspettavo tutt’altro. Mi era stato consigliato come lettura estiva ai tempi della scuola, ma io avevo abilmente ripiegato su altri titoli: il romanzo storico non era ancora fra i miei interessi. Poi, dopo anni, il suo titolo è tornato a fare capolino fra i miei studi, parla di una strega dopo tutto, ed allora ho scorso tutti i titoli della libreria di casa finché non l’ho trovato (mia sorella, al contrario mio, era stata diligente e l’aveva letto).
La cornice è quella della finestra dell’autore che nella pianura del Sesia, in lontananza il Monte Rosa, già esso chimera per la maggior parte dell’anno, si ritrova a guardare il terreno dove nel ‘600 sorgeva Zardino, un paesetto come ce n’erano tanti al tempo, e dove visse la maggior parte della sua vita, e morì, Antonia, esposta e strega, arsa sul rogo a soli 20 anni.
La storia di Antonia s’interseca alle riflessioni dell’autore, passando dal XVII al XX secolo in maniera fluida, riportando il lettore ai tempi moderni e poi reimmergendolo in quel passato fatto di semplicità e miseria. E’ un narratore che mi ha ricordato un po’ il Manzoni dei Promessi sposi, con le sue digressioni sugli usi e le scene del tempo che narra. In tutto ciò l’interiorità della strega rimane solo abbozzata, non è uno di quei romanzi in cui la psiche dei personaggi è scoperta e sempre indagata.
Assistiamo al dipanarsi dei vari eventi che l’avrebbero portata ad essere sospettata e poi accusata di stregoneria, ricostruiti grazie agli atti del processo.
Ma alla sua storia si intrecciano quelle, altrimenti anonime, degli esposti, dei risaroli, dei camminanti , degli ecclesiastici e dei contadini della bassa novarese.
Vediamo come fu probabilmente la bellezza la maggior colpa di Antonia, ed una certa ribellione alle norme proibitive dell’epoca.
E nella chiusura del libro, amara, vediamo come i fatti narrati, terribili ed enormi per coloro che li vissero, siano tuttavia stati inghiottiti dal tempo, dalla morte, così come il paese stesso di Zardino. E sembra che la chimera siano non solo la vita, quella che noi chiamiamo realtà, ma anche quello stesso Dio, dichiarato inesistente, in nome del quale Antonia fu bruciata sul rogo. La figura della strega che io amo è quella della donna sapiente, ribelle, libera nella natura (per quanto possa essere non del tutto storica ma soprattutto simbolica), mentre qui essa è rappresentata in tutta la sua umanità, nel momento della tortura e della violenza, prevaricata e disconosciuta nella sua stessa identità di essere umano. Eppure, immedesimarsi nella strega, accompagnarla durante gli interrogatori, mostra un altro lato rilevante della figura: quello della donna emarginata, tenuta in sospetto, percepita come altro da sé e quindi in ultima analisi capace di tutto, di sovvertire la logica della natura e della vita. Cosa dev’essere stato subire un processo per stregoneria nel XVII secolo, questo libro ce ne dà un assaggio.
E la mia speranza è che questo ci aiuti a riconoscere che l’altro, a ben vedere, non è poi così diverso da noi, che potremmo benissimo essere noi, e che ciò renda sempre più improbabile il ripetersi della “caccia alle streghe”, qualsiasi forma esse assumano nel corso dei secoli.

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