La storia segreta di re Artù. Le radici barbariche della più grande leggenda britannica di Howard Reid, Newton&Compoton, 2003
Numero pagine: 240
Lingua originale: inglese
Titolo originale: Arthur the Dragon King
Prima edizione: 2001
Prima edizione italiana: 2003
Genere: saggio sui racconti arthuriani
I romanzi del ciclo bretone e i successivi rifacimenti esercitano su di me un certo fascino sin dalla prima lettura di Le nebbie di Avalon durante l'adolescenza, così quando mi capita qualcosa a riguardo lo leggo. Purtroppo sia nella narrativa che nella saggistica si trovano libri piuttosto scadenti, ma che comunque testimoniano l'interesse che ancora oggi avvolge le storie di Artù, Ginevra, Lancillotto e tutti gli altri cavalieri della Tavola Rotonda.
Questo particolare volume mi è capitato fra le mani a casa di un'amica, e visto che la lunghezza del mio soggiorno da lei lo permetteva l'ho iniziato e finito nel giro di pochi giorni. Premetto subito che mi ha lasciata non poco perplessa, ma vediamo i contenuti.
Nel primo capitolo ricostruisce (in maniera piuttosto arbitraria) l'arco narrativo della leggenda arthuriana, senza per altro citare puntualmente le fonti dei vari episodi e rileva come in essa spicchino alcuni motivi decisamente celtici (almeno questo, dai) ma anche che il sostrato celtico non può essere l'esclusiva fonte del vasto patrimonio di racconti arthuriani.
Nel secondo passa a descrivere storia e cultura della Britannia celtica e poi romanizzata e evidenza come alcuni elementi del mito arthuriano non possano trarre origine da questo universo culturale (l'importanza del cavallo, l'uso di tende e padiglioni, il simbolo del drago, un certo grado di rispetto per le donne), nel terzo parla delle infondate prove storiche dell'esistenza di re Artù muovendosi fra storia e fonti letterarie (dalle prime citazioni fino a Goffredo di Montmouth), rilevando come quest'ultimo sia in definitiva una figura mitica.
Prosegue nel quarto analizzando la storia così com'è riportata da Goffredo di Montmouth, rilevando come alcuni tratti caratteristici debbano derivare non già dalla cultura celtica, ma da una popolazione barbarica originaria delle steppe dell'Asia.
Nel capitolo quinto passa a descrivere gli Sciti così come sono dipinti nelle fonti classiche e evidenzia i tratti culturali simili a quelli del mito arthuriano, prosegue nel sesto parlando di come gli Sciti furono soppiantati dai Sarmati di cui un gruppo di cavalleria fu inviato in Britannia presso il Vallo di Adriano dall'imperatore Marco Aurelio dopo la loro sconfitta.
Nell'ottavo argomenta su come i Sarmati avessero dei tratti in comune con gli Alani, una popolazione barbarica che invase l'impero romano durante l'ultimo periodo imperiale ed il primo medioevo.
Nel nono parla di come gli Alani si stanziarono in Gallia e Bretagna, dove sarebbero da collocarsi le radici storiche dei romanzi arthuriani, precisamente all'epoca delle guerre sostenute dagli Alani contro altre popolazioni barbariche nel V secolo; Artù sarebbe stato in origine Goar/Eothar, un sovrano citato nella Vita di S. Germano.
Chiude richiamando le credenze degli Osseti simili a quelle arthuriane poiché questi altri non sarebbero che i discendenti di Sarmati e Alani. Nella postfazione infine rintraccia gli stessi motivi in alcuni miti e racconti di Cina e Giappone. Chiudono il libro ringraziamenti, bibliografia e indice.
Per il resto si tratta del solito saggio in cui la comparazione selvaggia fa dire quello che si vuole ai testi, e prova ne sia che gli elementi che l'Autore si è tanto impegnato a collegare fra popolazioni barbariche e mito arthuriano si possono ritrovare anche nelle culture Orientali (d'altra parte i legami culturali fra popolazioni indoeuropee sono noti da decenni). Insomma, si tratta di un saggio privo di accuratezza con giusto un patina di storicità e che si perde in salti logici eccessivi.
Sicché, se siete proprio interessati a leggere qualche teoria alternativa, questo libro potrebbe fare per voi, ma sicuramente esistono testi migliori sull'argomento.
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